Regia di Daniele Ciprì vedi scheda film
Fin dai tempi della Cinico TV Daniele Ciprì è stato l'aedo del degrado etico e culturale, colui che, insieme al compagno d'avventure Franco Maresco - dal quale qui per la prima volta si separa - ha saputo raccontare il brutto in una chiave grottesca e parossistica. Prosegue su quel solco anche questa sua opera solista, ambientata nell'estrema periferia di Palermo (ma in realtà girata a Brindisi), al centro della quale si trova la famiglia Ciraulo. Negli anni settanta - racconta l'avventore di un ufficio postale (Alfredo Castro, l'attore-feticcio di Pablo Larraín) - alla famiglia Ciraulo tocca in sorte la morte della piccola Serenella (Zammitti), colpita da un proiettile vagante mentre giocava in strada. I Ciraulo vengono a sapere che lo Stato italiano ha predisposto un fondo per i morti di mafia: e allora, prima ancora di ricevere il risarcimento, i Ciraulo si indebitano, finiscono in mano agli strozzini e infine acquistano il non plus ultra del consumo vistoso: una Mercedes. Ma una rigatura di troppo sulla macchina farà scoppiare un dramma di proporzioni apocalittiche. Dispiace dirlo, ma alla prima uscita da single, Ciprì - pur confermando il suo talento visionario, ribadendo di avere un gran talento per la fotografia e riaffermando la sua vocazione iconoclasta - convince poco. Non che il film non sia originale: semplicemente, gira a vuoto intorno a uno spunto piccolo piccolo, gonfiato a dismisura da un Toni Servillo ancora più caricaturale e sopra le righe di quanto non fu in Gorbaciof ed eccessivamente preoccupato, insieme ai suoi comprimari, di dare fisicità ed espressione ai nuovi mostri, più brutti, sporchi e cattivi che mai. Alla prima prova solista, Maresco batte Ciprì uno a zero. Palla al centro. Al festival di Venezia, Premio per la fotografia a Daniele Ciprì, premio Marcello Mastroianni a Fabrizio Falco (anche per Bella addormentata di Marco Bellocchio.
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