Regia di Bennett Miller vedi scheda film
“È incredibile quanto non si conosca il gioco per il quale abbiamo gareggiato per tutta la vita”.
Così asseriva (come preannuncia da subito il film) Mickey Mantle (colonna portante dei N.Y.Yankees per svariati anni) uno che di baseball, non solo sul piano teorico, se ne intendeva.
Come dire, al diavolo tutti gli autoproclamatisi oracoli del mercato delle giovani promesse (spacciate per redditizie scommesse). Solo fumo negli occhi e dolorose illusioni.
Ma, altresì, come dire: profani di uno degli sport più amati d’America, siete avvisati!
E, in effetti, non hanno tutti i torti gli sceneggiatori (i brillanti - più per i film scritti in precedenza che per questo, per il vero - S.Zaillian e A.Sorkin). Ma non tanto perché il film in questione indugi eccessivamente sui meccanismi - che regolano detto lucrativo passatempo - interni al “Diamante”. Quanto perché l’attenzione viene riposta prevalentemente su quelli che esso governano dall’esterno del campo di gioco. E neanche dalle panchine delle riserve o dagli spalti, ma dalle stanze ove si decreta l’area dell’ambizione dei diversi team. Quelle ove si parla dei giocatori come mera merce di scambio e del (più o meno cospicuo) corrispettivo del medesimo: il denaro; (potendo) a fiumi.
Ma non sempre.
Non da quando, almeno, sta prendendo piede un nuovo modo di concepire il rendimento (e la valutazione) dei protagonisti di questo sport; una tecnica che irride l’imprevedibilità dello sport tramite minuziose previsioni statistiche (FilmTVRivista). A botte di studi statistici, ma anche d'idealismo e voglia di riscatto una rivoluzione (Stuntman Miglio) è (era, ormai), infatti, alle porte.
Il verdetto è già scritto. si tratta solo di capire se sarà il GM Billy Beane (B.Pitt) a beneficiarne, o se non sarà, piuttosto, uno dei tanti perdenti sacrificati sull’altare del pronostico vecchia scuola (prima) e su quello del progresso squattrinato (dopo).
Ma, quand’anche, “a great loser”.
L’arte di vincere è un film geneticamente targato U.S.A. Appassionati esclusi, sarà (dunque) difficile che possa riuscire a fare davvero presa in un pubblico meno sensibile alle dinamiche che attraversano lo sport del baseball, soprattutto in ragione del fatto che i fuori campo (quelli visti) sono molto pochi, mentre le immagini prediligono raccontare altro (dall’esagerato cinismo delle contrattazioni di mercato alle “vittime” - fra le quali figura un convincente P.S.Hoffman - della tendenza al superamento del tradizionale sistema di scouting).
Anche se, poi, è pur sempre il campo di gioco a scrivere la storia.
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