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L'arte di vincere. Moneyball

Regia di Bennett Miller vedi scheda film

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La recensione su L'arte di vincere. Moneyball

di FilmTv Rivista
6 stelle

«È incredibile quanto non conosci il gioco a cui hai giocato per tutta la vita». Si apre su questa sentenza (della leggenda del baseball Mickey Mantle),L’arte di vincere, film sportivo e ritratto umano tratto da The Art of Winning an Unfair Game, libro incentrato sulla figura e sul pensiero di Billy Beane. Un profeta. Un perdente. Uno convinto di avere sbagliato risposta, quel giorno che gli chiesero di scegliere tra il baseball e l’università, quel giorno in cui due talent scout scommisero su un futuro battezzato come sicuro. Uno sfiancato dal fallimento, prima come giocatore e ora come General Manager degli Oakland Athletics, squadra dalle risorse economiche decisamente limitate, che coltiva talenti ed è costretta a cederli, che giunge a un passo dalla vittoria, arrestandosi sempre. Ed è così che Beane, mentre cerca di ricostruire una squadra dalle proprie ceneri, comprende che l’errore è nella domanda nascosta dietro l’ennesimo progetto di resurrezione. Comprende, grazie a un giovane che di professione irride l’imprevedibilità dello sport tramite minuziose previsioni statistiche, che non ci si deve chiedere quale giocatore serve per sostituirne uno perduto, comprende che la risposta può essere frutto di un calcolo, che tre uomini derisi e imperfetti possono surclassare la resa di una star, che una squadra è un meccanismo, non somma di individualità. Comprendere non è sinonimo di vincere, perché qui il gioco è con le ombre personali, le attese proprie e le pretese dell’intorno: qui si impara l’accettazione di sé. «Sei un perdente papà, goditi lo spettacolo» canta a Billy la figlia mentre la camera si stringe sul volto di Brad Pitt, fulcro di un racconto di formazione adulto, centro che fagocita la storia. Per questo il match decisivo, che altrove sarebbe stato apice catartico, qui è solo la fugace apparizione di fantasmi, la conferma di una condizione esistenziale. Sorkin e Zaillian cesellano un copione di quelli per cui acquista senso l’aggettivo “perfetto”: punteggiato di rime e rimandi, di ritorni e sfumature, metafore dette e segni sospesi, luogo di dialettica per la retorica del Sogno Americano, della Società dello Spettacolo, del Capitale (Umano), della hybris della Ragione. Il baseball - si dice - è materia sentimentale: per Miller, dopo Truman Capote. A sangue freddo, il biopic si conferma narrazione di un paesaggio mentale.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 4 del 2012

Autore: Giulio Sangiorgio

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