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L'arte di vincere. Moneyball

Regia di Bennett Miller vedi scheda film

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La recensione su L'arte di vincere. Moneyball

di alan smithee
4 stelle

TFF 2011 - Festa mobile - Figure nel paesaggio
Film di maggior richiamo della Festa mobile al TFF numero 29, L'arte di vincere e' un prodotto che con questo bel festival non ha nulla a che spartire, ne' per il glamour che si porta dietro grazie ai divi che si trascina, ne' con la trama che tira in ballo uno sport, di tattica piu' che di sforzo fisico, stranissimo e poco apprezzato in Europa come il baseball. personalmente odio il calcio e tutto il marcio che ci sta dietro e mal sopporto in generale gli sport da squadra, per cui un mio giudizio su un film del genere che mi costringe a trascorrere oltre due lunghissime ore a seguire prolisse teorie di strategia sportiva, risultera' decisamente gravemente influenzato da questi negativi sentimenti. Detto questo il film non e' brutto ne' mal recitato: Brad Pitt appare in gran forma e, alla soglia dei 50 si presenta con il personale di uno spavaldo 30enne atletico e palestrato nell'interpretare il rivoluzionario general manager degli Oakland Athletics. L'impacciato ed insicuro piu' di sempre, Jonah Hill e' il suo ideale contraltare e il genio statistico che induce il protagonista a rivoluzionare le tecniche di scelta e di mercato dei giovatori di baseball, invero tendenzialmente strapagati come i calciatori europei ben al di sopra del loro valore aggiunto.
Lo stratega di una squadra nazionale minore di baseball subisce le scelte delle compagnie piu' facoltose che gli soffiano uno ad uno i giocatori migliori. Non disponendo delle finanze sufficienti per rimpolpare adeguatamente la squadra allo sfacelo, Pitt viene convinto da un timido e robusto neo laureato a puntare sulle nuove leve e su giocatori poco noti ma dal notevole surplus rispetto al sottocosto che il loro anonimato gli assegna. Ma - cosi' il film ci vuole insegnare - le statistiche possono aiutare ma non sono sufficienti a far vincere l'intera battaglia e venti successi ininterrotti di fila non bastano ad assicurare la gloria del traguardo piu' alto (ma non chiedetemi perche' in quanto per me rimane un mistero incomprensibile alla mia testolina ignorante, che apprezza il baseball quasi quanto il calcio con la differenza che lo comprendo ancora meno). Il film di Bennet Miller, quello del buon film su Truman Capote, viaggia sui binari di "Ogni maledetta domenica" di Stone o "Invictus" di Eastwood senza pero' raggiungerne l'efficacia, e ritornando al solito ripetitivo mito della forza di volonta' e compiacimento del farsi da se' americano, dei valori della famiglia e della patria che sfociano quasi sempre nella stucchevolezza. Philip Seymour Hoffmann in questo film e' una carta preziosa giocata male e sprecata inutilmente.

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