Regia di Bennett Miller vedi scheda film
NEI CINEMA ITALIANI DAL GENNAIO 2012
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La storia la fanno gli uomini che hanno la capacità di far capire e poi accettare - non necessariamente in quest’ordine - il loro pensiero rivoluzionario. “Chi mi ama mi segua”, pare abbia detto Gesù agli apostoli che vedeva impregnati di scetticismo e timore. Chi mi ama mi segua rivisitato in un “adattarsi o crepare”, lo disse l’ex giocatore statunitense di baseball Billy Beane, non eccelso quando era in campo con mazza e palle ricoperte di pelle, ma talentuoso come dirigente. Divenuto general manager degli Oakland Athletics nella Major League Baseball degli Usa, si scontra con la politica al risparmio della proprietà che gli impedirebbe di essere competitivo al cospetto di New York Yankees e compagnia. Non si scoraggia e, in seguito all’incontro con il neolaureato a Yale in economia Peter Brand, impone un metodo innovativo per sbaragliare il mercato dei giocatori e costruire una squadra vincente, più per astuzia ed esperienza che per tecnica e atletismo.
Un battitore degli Oakland Athletics in azione (foto ktvu)
Questa solida e coinvolgente pellicola (sei candidature ai premi Oscar nel 2012, tra cui quella per il miglior film) che paga giusto qualche movimento da commedia leggera, è stata girata da un regista americano dal tocco magico come Bennett Miller, autore infecondo visti i soli tre lungometraggi in oltre vent’anni di carriera, ma straordinario per qualità, con all’attivo due capolavori quali Truman Capote - A sangue freddo (2005) e Foxcatcher - Una storia americana (2014), entrambi candidati dall’Academy Awards per la miglior regia. L'arte di vincere (Moneyball) si pone in mezzo a quei due, sia temporalmente che come valore assoluto, ma è un’altra testimonianza della capacità di Miller di mescolare in modo sapiente dramma, sottigliezza e ironia e di conquistare il coinvolgimento dello spettatore dall’inizio alla fine.
Toronto International Film Festival, settembre 2011: da sinistra Pratt, Hill,
Pitt, Hoffman e il regista Miller (Getty Images)
Storia vera tratta dal romanzo Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game di Michael Lewis e ottimamente sceneggiata da Steven Zaillian e Aaron Sorkin, ripercorre in immagini la parabola di questa squadra data per spacciata perché costruita, mai accaduto prima, in base alle statistiche riferite a giocatori spesso semi sconosciuti o a fine carriera, infortunati o mai esplosi del tutto i quali, tuttavia, dati matematici alla mano, risultavano ideali se inseriti nella rosa e nei nove in campo in conformità e coerenza con questo metodo innovativo. Il sistema Moneyball, da allora, è stato acquisito dal vocabolario del baseball come definizione della cosiddetta sabermetrica, la ricerca nel baseball basata sulle statistiche.
L'arte di vincere - Brad Pitt è il GM Billy Beane (foto thevision)
La forza del film, oltre che nelle ottime interpretazioni di alcuni attori di primo livello, sta nel riuscire ad appassionare chi guarda, di fronte allo scetticismo suscitato dalla rivoluzione del giovane dirigente e del suo braccio destro che si ribellano, prima per necessità ma in breve per convinzione, all’ostilità in particolare di allenatori, manager e scout reazionari, ma anche dei giocatori stessi, chiamati questi ultimi a esprimersi anche in ruoli mai ricoperti prima.
L'arte di vincere - Brad Pitt e Jonah Hill
Protagonista della vicenda è un Brad Pitt (è nel cast di Babylon, drammatico in uscita nel 2023) ben calato e credibile nel personaggio di Billy Beane, brillante, sfrontato e caparbio dirigente, maestro nel gestire estenuanti trattative telefoniche a colpi di rilanci e scambi da campione del gioco d’azzardo. Al suo fianco brilla l’interpretazione di Jonah Hill (anche lui nell’esilarante Don't Look Up, 2021) – che per questa performance fu candidato all’Oscar come miglior non protagonista - nei panni del timido, spaesato ma fermo Peter Brand, fromboliere dei suoi mille numeri da combinare sul computer ma da far funzionare anche nella realtà. Molto pure l’indimenticato Philip Seymour Hoffman (nel 2012 una delle sue ultime prove di primo piano in Una fragile armonia, prima di lasciarci nel 2014) – chiamato a coprire una parte defilata non facile per un mattatore come lui – che personifica l’allenatore Art Howe, il quale subisce immusonito e rosicone gli imperativi scaturiti del metodo moneyball ma che, per un mero calcolo di convenienza contrattuale, non molla una panchina in cui la sua presenza è ormai solo formale. Verosimile la prova dell’ancòra trentaduenne Chris Pratt (ormai specialista di supereroi e fantascienza, reso immortale grazie alla serie del Marvel Cinematic Universe e in particolare con la saga Guardiani della Galassia) nella divisa di Scott Hatteberg, ricevitore con il braccio destro compromesso da un infortunio e ormai insufficiente nel lancio, ma acquistato da Billy perché, col proprio studio statistico, aveva rilevato la redditività di quell’atleta nella posizione di prima base. Poco più di un cameo per la sempre brava e affascinante Robin Wright (inspiegabilmente, per me, ancora solo in vendita in streaming il suo apprezzato Land del 2021) che interpreta la ex moglie del protagonista.
L'arte di vincere - Chris Pratt
“Un’isola di giocattoli difettosi”, come la definisce l’economista Brand, è lì a disposizione di Oakland per allestire una squadra forte che, nonostante i tagli al budget, la società si sarebbe potuta permettere. Film divertentissimo e a tratti profondo. Voto 8,5.
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