Regia di Roberto Faenza vedi scheda film
Un giorno questo film sarà dimenticato ...
Domani.
Il "buon" Faenza, volato per l’occasione negli States, realizza un’opera di modesto impatto, di dubbia qualità e, soprattutto, di scarso interesse. Il tono scelto è quello minimalista/indie (o fintamente tale), molto “alla moda”, il quale però, nel caso, come questo, di non buona aderenza ai temi che si intende trattare, può risultare sterile, innocuo e finanche irritante.
Un'incertezza espressiva, sia nella forma che nei contenuti, disinnesca quanto di valido le linee concettuali di base (cioè il romanzo omonimo di Peter Cameron) avevano da offrire, portandosi su sentieri già battuti: quelli del troppo detto, del troppo esposto, nonostante si cerchi di dare una patina “impegnata“, impregnata di quegli abusati fluidi che sedimentano strati di confusione progressiva, di melanconia, d’inadeguatezza, di (auto)incomprensione. Tutto però in maniera confusa e non incisiva.
I minuti scorrono mentre sullo schermo immagini e suoni ondeggiano senza meta, come in attesa di un forte vento, o persino di una lieve brezza rischiaratrice, che decida rotta e compagni di viaggio.
L'insicura conduzione genera una rarefazione emozionale che stride nettamente con gli intenti, con questa presunta giostra di sentimenti tormentosi che inabisserebbero il giovane protagonista in un gorgo di consapevole inconsapevolezza, del suo tanto proclamato dolore. Ma il dolore non si vede, non c’è. Non ce n’è percezione. A meno che non si accetti il ricatto/contentino finale della dipartita di un caro familiare.
Piuttosto, il ritratto di James Sveck, ragazzino diciassettenne fragile, disadattato (ma che è bello, ricco, viziato), in preda a crisi d’identità, con il cruccio di essere fuori posto ovunque, di non trovare la propria via e di non sentirsi “normale” (cosa che poi non è così “anormale” in giovani di quell’età, e non solo), finisce col risultare non solo poco coinvolgente ma pure assai fastidioso e indisponente.
La descrizione della (classica) famiglia disfunzionale e delle altre figure correlate (la life coach; l’amico alla galleria d’arte) - che dovrebbe contribuire alla definizione ed approfondimento del giovane problematico nonché ad una maggiore comprensione delle dinamiche che lo riguardano - è approssimativa ed estemporanea, spesso ammiccante. Tutti paiono sospesi, fugaci elementi decorativi che vorticano schizzati ed in modo/moto insensato intorno a James - egocentrica rappresentazione dalla consistenza larvale e dalla natura conflittuale - trovando la loro ragione di (non) essere in una serie di stramberie assortite che hanno l’impalpabile densità della pura macchietta.
Forse il dolore può anche essere utile. Il film di Faenza è alquanto futile.
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