Regia di Cristina Comencini vedi scheda film
Ci vuole un bel coraggio a infrangere il totem moralista della “madre italiana”. Lo aveva già fatto, Cristina Comencini, con Due partite, con quelle otto donne fuori dagli schemi di un Paese maschilista, ora lo demolisce con la storia dolorosa di una madre torturata dai primi, estenuanti, due anni del figlio. La troviamo in una casa di montagna, sola con il pargolo, ha il viso sofferente di una brava Claudia Pandolfi. Tutto può succedere, lo sa anche la guida alpina che abita al piano di sotto, Filippo Timi (incredibilmente sottotono), uomo delle nevi che odia le donne per quella madre fuggita da lui e i fratelli. Piace, e anche tanto, la Comencini, nella prima mezz’ora: sembra un horror domestico il suo, con atmosfere angoscianti, non detti, momenti di suspense hitchcockiana. Poi arriva il momento di dar respiro alla narrazione, si sale alla baita di famiglia di lui e tutto va a rotoli. Un effetto valanga che travolge il film, tra battute improbabili - a volte si cade nell’umorismo involontario - e scene matrigne come quella, nel letto, del pur bravo Trabacchi e della Cescon, primo di molti momenti scult di una sceneggiatura che non ha potuto trovare nei monologhi interiori del libro da cui è tratta alcun appiglio e che impediscono al film, e al tema, di volare alto o precipitare nell’abisso. Un’occasione persa che ti lascia la voglia di sapere dov’è andata a finire la bella storia abbandonata in quella casa buia e angosciante.
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