Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film
Il villaggio di cartone è un apologo sul concetto di carità interpretato alla luce dei nostri giorni; la nota più soprendente in tutto ciò è quella relativa all'età del regista: Ermanno Olmi, (felicemente) ottuagenario. Eppure il suo è un film davvero moderno, che non guarda all'immigrazione clandestina nè con ipocrita buonismo/perbenismo nè tantomeno con superiorità o generica pena; le figure degli stranieri sono tratteggiate, nel bene come nel male, con profonda umanità e con una dignità pari a quella degli altri personaggi (forse soltanto quello interpretato da Haber è lievemente stereotipato nella sua cieca cocciutaggine). E inoltre Il villaggio di cartone è un altro modo per suggerire, in modo pacato e leggermente retorico, che la Chiesa odierna avrebbe bisogno di osservare meglio attorno e soprattutto dentro sè, per essere finalmente al passo coi tempi; in altre parole "o noi cambiamo il corso impresso alla Storia o sarà la Storia a cambiare noi", come recita la didascalia finale. Non c'è reale carità se non c'è reale comprensione e non c'è reale comprensione se non c'è reale accettazione del prossimo. Nel cast spiccano i nomi di Michael Lonsdale, Rutger Hauer, Alessandro Haber e Massimo De Francovich; fotografia nitida di Fabio Olmi, figlio del regista, e utilizzo piuttosto rarefatto delle musiche (di Sofia Gubaidulina, russa coetanea di Olmi). 6/10.
Un anziano prete è costretto a veder sgomberare la sua ex parrocchia, divenuta inservibile. Quando però alcuni disperati immigrati arrivano in paese, ecco che il prete e il sacrestano si rendono conto che l’edificio è il miglior riparo possibile per queste persone. Anche se la legge non è d'accordo.
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