Regia di Cosimo Alemà vedi scheda film
Trovo che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato nel giocare alla guerra, ma allo stesso tempo è indiscutibile che tale attitudine sia talmente radicata (fin dall’infanzia) nell’animo umano, che tutti noi almeno una volta ci siamo cimentati, almeno tra i maschietti è sempre stato uno dei passatempi più giocati.
E alcuni ci giocano anche da adulti, non sono pochi infatti i patiti del softair, ossia del gioco della guerra con armi giocattolo caricate con pallini di plastica, il tutto da praticare possibilmente in zone boschive e isolate dove la simulazione dello scontro offre anche uno scenario naturale adatto e di gran fascino.
Io non ho mai praticato questa attività ludico/ricreativa (come la definisce Wikipedia) anche se mi piacerebbe provare, pur restando convinto di quanto scritto sopra, ossia che la guerra non può essere mai vista ne interpretata come un gioco.
Su questo tema, questa contraddizione di fondo Cosimo Alemà costruisce il suo film, prende un gruppo di giovani e li inserisce in uno scenario naturale e isolato, anche se non ben definito geograficamente, li arma di tutto punto con le loro armi giocattolo e una volta formati i due team si parte per la grande battaglia.
La cosa sembra divertente, anche se non tutti si divertono, per esempio la giovane Lara (interpretata con intensità dall’esordiente Stephanie Chapman-Baker) non sembra molto contenta di partecipare, ma spinta dalla sorella Monica decide di giocare, è un occasione per le due di rivedersi dopo tanto tempo e di stare un po’ insieme.
Tutto sembra andare per il meglio fino a quando i nostri patiti del Softair non si accorgono che in campo ci sono altri giocatori, gente che non sembra tanto a posto con la testa e che soprattutto gioca con regole diverse e con armi vere, armi che quando sparano uccidono sul serio.
Un giorno senza fine (At the End of the Day) è una produzione italiana girata in lingua inglese, non è un torture-porn come ho letto da qualche parte in quanto non ci sono scene esplicite che rimandano a questo genere (non è Martyrs per intenderci), se proprio lo vogliamo classificare credo sia più opportuno definirlo survival-horror, in quanto il compito dei protagonisti, una volta capita la "variante" del gioco, sarà appunto quello di restare in vita.
Alemà non inventa nulla è bene precisarlo (tra i tanti, inevitabili i riferimenti a Deliverance e I guerrieri della palude silenziosa), lo script utilizza questa particolarità del softair come miccia di innesco ma lo svolgimento ricalca decine di pellicole similari alle quali il regista si è ispirato come punto di partenza e come impostazione produttiva, la scelta di girare in lingua inglese e con attori anglosassoni punta chiaramente ad un modello commerciabile anche al di fuori dei nostri confini, e questa è senza dubbio una scelta da apprezzare.
Nonostante questa dimensione standardizzata il film riesce lo stesso a manifestare una sua precisa fisionomia, la regia di Cosimo Alemà (che si è fatto una grande gavetta con i video musicali) è di sicuro un valore aggiunto e pur restando in un ambito di violenza riesce a trattare l’argomento con spirito originale, la messa in scena pur rispettando i canoni del genere risulta visivamente accattivante, valorizzata da una fotografia azzeccata (Marco Bassano) e dalle musiche stranianti e malinconiche di Soap & Skin e Hammock.
Naturalmente il contrasto più forte che si viene a creare sta nella stridente manifestazione di una guerra reale e di una simulata, il momento preciso in cui questo accade, in cui improvvisamente si passa dal gioco alla morte viene presentato senza nessuna enfasi, con freddezza e indifferenza, la stessa di un colpo di fucile sparato a bruciapelo.
Questo darà il via ad una vera e propria metamorfosi dei personaggi, che di colpo si ritroveranno ad affrontare l’orrore inspiegabile, l’unica figura che in una dimensione di follia e paura riuscirà a restare a galla è proprio quella di Lara, che fin dall’inizio si era dimostrata estranea al gioco (al piacere) della guerra.
Come detto molto intensa la prova dell’esordiente Stephanie Chapman-Baker, che per buona parte si tiene il film sulle spalle fino a giungere ad un finale tremendamente beffardo, ma coerente con quanto anticipato nell’incipit, nessuna informazione viene invece data sul gruppo dei cacciatori, si capisce che sono degli ex soldati e che vivono rintanati in una specie di bunker sotterraneo ma oltre questo la sceneggiatura non rivela, una scelta che alcuni hanno criticato ma che io ho trovato corretta in quanto tali informazioni non davano maggior peso al film.
In conclusione il film di Alemà è un opera non originale ma ben presentata, ogni tanto spuntano piccole produzioni italiane di genere che cercano di inserirsi in un mercato super inflazionato, si rifanno a modelli stabiliti e la speranza è che più avanti qualcuno trovi il coraggio di andare oltre e puntare più in alto.
Io comunque mi accontento anche di film come Un giorno senza fine, che onestamente il suo se lo porta a casa, consigliata la visione il lingua inglese.
Voto: 7
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