Regia di Cosimo Alemà vedi scheda film
Gli (stupidi) uomini e la loro (stupida) voglia di guerreggiare, di “giocare” a fare i bravi soldatini. Fucili in spalla, assetto tattico, atteggiamento aggressivo. E munizioni di plastica. Che accade se si incontrano dei tizi poco cordiali ed in vena di divertirsi con armi vere?
At the end of the day parte da qui, tema certo non originale, eppure si tratta di una gradita sorpresa, tanto più se si pensa che è un film italiano diretto dal prolifico regista di videoclip Cosimo Alemà, e girato in lingua inglese.
In una natura boschiva, (apparentemente) placida, irradiata dalla rassicurante luce del sole un gruppo di amici si sfida a una partita di softair, finché non diventa il (facile) bersaglio di alcuni professionisti armati e risoluti. Un’escalation di crudeltà e violenze che non lascia scampo alcuno, l’incredulità che tramuta in terrore, l’autoconservazione assurta ad unico credo, corpi e terreni di scontro tinti di sangue, vittime che diventano carnefici. Uno sviluppo classico e a tratti prevedibile, ma che non inficia la riuscita dell’opera, che è tesa, coinvolgente, lineare, concentrata sui personaggi e sulle loro (re)azioni.
Una vicenda possibile, forse accaduta (come dichiara la didascalia in apertura), un’ambientazione qualunque, anonima, come lo sono gli attori e i loro volti, comuni e sconosciuti, ma conoscibili nel loro aderire ad una verosimile parabola di orrore e morte. Non viene raccontato molto su di loro, su chi siano e cosa facciano ma lo fa la macchina da presa, che è spesso lì con primi piani sulle facce dei personaggi, con inquadrature ondeggianti e sussultanti come a descriverne il senso di spaesamento e di panico, l’equilibrio psico-fisico che traballa, l’oscurità che si insinua (efficace ed “attesa” l’ultimissima inquadratura).
Una messa in scena precisa e senza inutili orpelli, non presuntuosa né tesa verso la ricerca di facili risposte emotive e non c’è (esagerato) compiacimento o gratuità; il regista, infatti, non indugia su dettagli macabri o horror, preferendo focalizzare l’attenzione sulla storia in sé. Anche se proprio la sceneggiatura ha qualche vuoto di troppo, con alcune situazioni risolte frettolosamente o con illogiche forzature. Peccato, perché Alemà dimostra buona tecnica e capacità, coadiuvato da una pregevole fotografia e da quello che è uno dei veri punti di forza del film: il sonoro. Effetti sonori graffianti, urticanti, digrignanti, quasi stordenti e fastidiosi, pur nella loro sorda emissione di rumore (in)controllato accompagnano (e “irruvidiscono”) taluni momenti topici, come nelle urla strazianti lanciate dall’uomo ferito da una mina.
La colonna sonora poi è eccellente, disarmante, insolita (specie se comparata a produzioni simili), curata da Woman in the Woods, con brani degli Hammock e che trova il suo culmine qualitativo con le opere dell’eccezionale Anja Plaschg (colei che si cela dietro il progetto Soap&Skin): pezzi di natura straniante, fragili e suggestivi, evocativi, dal “soffice” andamento (a)ritmico, un’iniezione di essenza aliena, docile che fa da perfetto contrappunto alla crudezza di certe scene o all’ansiogena azione di altre. Un nome da tenere d’occhio questa (giovanissima) Anja, una musica che causa (salutare) dipendenza. Stiamo lontani da quelle folli.
Andiam andiam andiamo a guerreggiar …
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