Regia di Raoul Ruiz vedi scheda film
A metà strada fra il surrealismo (anzi, il "realismo magico" di Erice e di tutta una tradizione ispanica, letteraria, pittorica e cinematografica) e gli smottamenti della memoria/coscienza che caratterizzavano il primo Resnais, il cileno Ruiz realizza una pellicola tanto lieve ed ironica quanto, a tratti, velleitaria. C'è poesia; c'è la capacità di evocare una malinconica atmosfera tutta sudamericana senza ricorrere a stereotipi, bensì cogliendo certi cromatismi (il "vino-tinto") e utilizzando in modo espressivo gli spiragli di luce che trapelano dalle finestre socchiuse; c'è anche un discorso amaro e rassegnato sulla Morte, sul ricordo, sul rimpianto, sui fantasmi della dittatura e sulla necessità di rielaborare il tutto attraverso la fantasia creativa (il romanzo "in progress"). Ovviamente, il risultato è pieno di scompensi e di cadute, ma restano da una parte alcune brillanti suggestioni (e quell'atmosfera borghese latina, restituita in maniera così suggestiva), dall'altra quel tocco soave, che risparmia il film dai rischi dell'intellettualismo.
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