Regia di Rick Jacobson vedi scheda film
Deserto e push up. Zinne e sudore. Labbroni sporgenti e girl power urlato istericamente verso la telecamera. Sesso (poco) e violenza (anestetizzata). Un labile ricordo, più per nomenclaturismo cinefilo che per stile a Russ Meyer e alle sue Faster Pussycat (kill kill) un debito pesantissimo verso Tarantino e ancor di più al delfino curioso (di sbirciare dentro le scollature) Robert Rodriguez.
Un po’ di I soliti sospetti? Ci sta, serve ad amalgamare tutto il baraccone pop citazionistico deliberatamente sconclusionato verso qualcosa che abbia una struttura coerente. In un film pesantemente giocato sull’aspettativa di una scosciata o di un fuori di tetta modello Novella 3000, pregno di scazzottate al femminile ma secondo i canoni maschili che disprezzano e sotterrato in un deserto di luoghi comuni, il mistero che si svela alla fine si capisce fin dalla prima inquadratura ma serve a tenere insieme le carni come una manciata di frattaglie ficcate dentro un budello.
Lesborama tardo tradizional-aggressivo. Ricorre una katana come memoria del bel tempo che fu, attorno alla cui lama tutto il cinema di genere si inchinò a rendere omaggio alla Uma e al suo Quentin sublime riscrittore di stile. Questa katana di Bitch Slap non è altro che un feticcio, al confronto. E’ la foto sbiadita di un amore perduto. Se il film ha un merito è quello tracciare un solco netto tra Tarantino e i tarantinismi. Non è facile per nulla mettere tre tettone insieme e farle berciare di sesso e cazzate senza avere una precisa idea di che cazzate farle berciare e di come inserirle nell’universo esclusivo dell’inquadratura. Non basta riempirle le boccucce di fuck. Non basta ammiccare alle bombshell poco generosamente inquadrate. Manca uno stile, e questo si sente in maniera pesante. Ne’ lo stile di Meyer, ironico e irriverente con le forme delle sue vixen generosamente esposte come veicolo di rottura verso il mondo bacchettone. Ne’ lo stile di Tarantino frantumatore di immaginari collettivi.
In un pezzo di deserto qualsiasi tre bonazze cercano qualcosa da portare via ad un boss misterioso quanto crudele. Il mistero verrà svelato a suon di calci, cosce sudate, ammazzamenti vari e frequenti flash back sempre più profondi fino all’inizio della storia che schiuderà il bozzolo con il segreto. Set volontariamente posticci e personaggi monoespressivi e bidimensionali come si conviene a opere del genere. Regia da videoclip dalla fotografia sporca. Il citazionismo è didascalico e per nulla reinventato così da far apparire tutta l’operazione come un sottogenere di un genere che non esiste più. Le girls non hanno la virulenza hard di una Tura Satana, il power di Uma Thurman o la generosità di una Kitten Natividad. Piuttosto sembrano tre Spice Girls in crisi isterica durante il menarca. Per essere fiche sono fiche. Ma questo non basta più. E la cosa più brutta che possa succedere ad un maschio in compagnia di tre fiche, è annoiarsi.
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