Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
Ecco, (anche) questo mi mancava. Non semplicemente un film che racconta di un rapporto speciale fra un cavallo (animale fotogenico per natura: manorti1) ed il suo giovane proprietario.
Non semplicemente un film sulla barbarie della guerra.
Non semplicemente (anzi; non tanto) un racconto di formazione od un film dove l’iniziazione è un rito demandato, anzitutto, al cavallo (Joey), il trait d'union fra i vari segmenti del film (bradipo68).
Ma un po’ di tutto questo e molto altro.
Dove per “molto altro” si intende la fotografia eccelsa del fido J.Kaminski (sempre a fianco di Spielberg dai tempi di Schindler’s List in poi). Una fotografia (dalla prima all’ultima inquadratura) così densa di colore e di contrasti, così interessata ad imprimere volume ed intensità ai gesti ed alle emozioni che pare ispirata alle tele caravaggesche (benchè il tempo del manierismo - si avverte con chiarezza - non pare essere stato superato del tutto).
E dove per “molto altro” si intende anche e soprattutto la sapiente direzione di Spielberg. Una direzione che nella prima parte (ed alla fine) procede “al passo”, mentre si lancia al galoppo in molte altre sequenze, così come appena prima della svolta (ma senza che mai le redini sfuggano di mano al nostro amato “fantino”). Ovvero una direzione elegante e sinuosa nel seguire i movimenti di Joey in tempo di pace; enfatica (ma mai ruvida) quando le trincee della guerra si fanno gole anguste che spesso (ma non sempre, ci insegna il film) risucchiano la speranza di un solo, universale volkgeist.
Spielberg, in tal modo, si crogiola nello splendore dei contrasti di luce e di vita. Affresca grandi quadri dove tanto floride lande lussureggianti quanto lande desolate e mortifere fanno da sfondo ad una ciclo rapsodico di natura ed umanità. Spielberg si diletta nella raffigurazione di sentimenti puri, nel bene e nel male. Con una puntina di sapore di favola (che è un po’ narcisismo), un po’ captatio benevolentiae ed un po’ magia d’autore (OGM), Spielberg compiace e si compiace. E se il risultato (una poesia su celluloide che va letta con il cuore e non con gli occhi: will kane) non appaga l’intelletto, dà, nondimeno, ampia soddisfazione ai sensi.
Così War Horse acquista il tono di un’emozionante e drammatica epopea d’antan, che commuove ed addolora, sempre nel segno di Joey e della sua fiera voglia di vivere; di stupire tutti; di mettere tutti d'accordo (finanche le opposte fazioni al fronte: Stuntman Miglio)…. di lasciarsi amare.
Un film vero come la finzione? Di sicuro. Troppo buonista e ruffiano per suscitare emozioni autentiche? Forse. Ma la sua è un’adulazione priva di irriverenza. È una retorica degradata in romanticismo (OGM). È il richiamo mellifluo delle favole edificanti d’altri tempi (alan smithee) che sanno toccare le corde giuste. Che chiedono di dimenticare il nostro scetticismo di uomini vissuti, per tornare a partecipare, come bambini, all’ingenuo, primitivo stupore del miracolo (OGM). Che sanno lasciarsi apprezzare, col tempo.
Ecco, Spielberg ha vergato un classico, cui sono sicuro che il tempo - è proprio vero quanto hanno osservato taluni opinionisti - darà ragione.
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