Regia di Luchino Visconti vedi scheda film
VENEZIA 75 - CLASSICI RESTAURI
Tra fine '800 ed inizio '900, un musicista quarantenne di nome Gustav von Aschenbach, afflitto da pesanti traumi dovuti a vicissitudini e lutti familiari e acuiti da una insoddisfazione professionale sempre più dolorosa e frustrante, nonché gravemente sofferente di cuore, decide di trascorrere un lungo soggiorno curativo a Venezia, e a tal fine lo troviamo diretto ad un lussuoso albergo affacciato sulle spiagge sabbiose del Lido.
Una volta installato, l'uomo, perennemente solo e desideroso di mantenere una propria risoluta riservatezza, rimane letteralmente abbagliato dall'incontro fortuito con un bellissimo giovinetto biondo polacco, figlio maggiore ma ancor in età adolescente di una nobildonna con servitù e pargoli al seguito, pure loro in soggiorno nella medesima elegante struttura.
Il giovane si chiama Tadzio, e tutti paiono chiamarlo e ricercarlo, nonostante la predisposizione alla riservatezza che pare caratterizzarlo. Egli infine ricambia lo sguardo mezzo imbarazzato, mezzo ammirato ed in estasi del musicista, e le sue attenzioni ed ammirazioni estatiche, con una espressione di cortese sfida e pudico ammiccamento, quasi una sfida ad una corte che si fa sempre più prostrata e frustrante per l'animo ed il fisico debole e minato dalla cardiopatia di von Aschenbach.
Che nel frattempo viene colto dalla convinzione che in Venezia le autorità stiano celando una imminente epidemia di colera, per scongiurare la fuga dei turisti nel periodo economicamente più propizio della stagione balneare.
Convinto della propria fine ormai imminente, l'uomo tenta di avvisare la famiglia di Tadzio di lasciare la laguna per porre in salvo il suo baluardo vivente e dopo il suo girovagare senza meta, viene raccolto agonizzante in spiaggia, tra i bagnanti quieti ed indifferenti, placidamente seduti davanti ad un pallido sole.
Magnifica, glaciale pellicola che intende riflettere sul senso della vita lungo una Europa Centrale e cosmopolita di inizio Novecento, sui destini in frantumi di una nobiltà aggrappata ad abitudini sontuose, annoiata ed irrisolta, o in piena crisi morale e finanziaria agli albori delle sanguinose imminenti guerre mondiali, Morte a Venezia elabora il breve racconto di Thomas Mann, dando respiro ad una crisi esistenziale in grado di rappresentare un intero ceto sociale ormai superato dal tempo e dalle nuove correnti sociali e culturali in fermento.
Senso di inadeguateza di fronte ad una bellezza che commuove e disarma, fragilità interiore per il ricordo di una perfezione che sembrava a portata di mano, ma che è sfuggita via, frantumata da disgrazie ed insuccessi impossibili da accettare.
Un pessimismo cosmico che solo una visione estatica che tende alla perfezione e all'armonia mai raggiunta nemmeno attraverso la musica, domina le ultime giornate di von Aschenbach e segna il passo di una vita che viene a concludersi senza un nulla di fatto.
Forte di una direzione sontuosa ed impeccabile di un Luchino Visconti al suo meglio, il film si avvale di un superbo Dirk Bogarde nel ruolo del distaccato e solitario musicista, nemico della folla, delle amicizie rumorose e complici, amante di una propria contemplazione interiore che non prevede fragorose futili distrazioni.
Gli altri personaggi sono più che altro preziose, lussuose apparizioni: Silvana Mangano, nobildonna madre di Tadzio, interpretato dall'efebico Björn Andrésen, e ancora un macchiettistico Romolo Valli, manierato e caramelloso direttore di sala, Marisa Berenson e Carole André (pre-Perla di Labuan in Sandokan di Sollima e la sosia della Muti), Franco Fabrizi: tutti tasselli necessari a rappresentare gli emblemi di una società decadente destinata ad essere completamente travolta dagli eventi che ridisegneranno confini e livelli sociali di una Europa ancora contemplativa, ma già in ebollizione, pronta ad eruttare violenza e morte indistintamente.
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