Regia di Luchino Visconti vedi scheda film
La Venezia di Visconti è pallida e assorta, e quasi senza sole. È vociante e sonora nei momenti di vacanza e di divertimento, eppure la sua festosità è schiava del rito, e dimentica della gioia. Con i suoi canali e le sue nebbie, in cui i sogni presto si dissolvono, la città della laguna è il teatro ideale del declino, è la fredda e grigia striscia desertica della pre-morte. Per il professor von Aschenbach la sua austera bellezza è il mausoleo di una ricerca estetica a cui egli ha dedicato la sua intera esistenza; e che, però, sbiadisce al confronto con la grazia acerba del giovane Tadzio, l’unico boccio vitale nella stanca mente dell’artista, che ad esso si aggrappa con tutte le sue forze. Il ragazzo è un virgulto verde e fresco in un paesaggio acquoso, stagnante e smorto, nel quale, per il resto, i colori sono come i belletti di una maschera mortuaria. Venezia, con le sue brume che si confondono col fumo, e la sua pestilenza insidiosa e strisciante, appare come una città ostile, subdola e grottesca, che prelude all’estremo e crudele tradimento – l’atto conclusivo di un tormento inflitto poco a poco – con cui la vita ci respinge, per sempre, via da sé.
Le melodie di Mahler insinuano, sottopelle, i fremiti di una romantica angoscia.
Mirabili le suggestioni impressioniste di molte inquadrature.
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