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Maledimiele

Regia di Marco Pozzi vedi scheda film

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La recensione su Maledimiele

di OGM
6 stelle

Quando il filone giovanilistico di stampo televisivo si sforza di servire la buona causa dell’impegno sociale, il risultato è quasi sempre a rischio. L’adolescenza è infatti un’età tormentata, complessa e ricca di contraddizioni tanto inespresse quanto incomprensibili, e si presenta quindi come un terreno minato: è una superficie disseminata di insidie nascoste, di punti dolenti su cui non è possibile appoggiare un discorso adulto,  coscienziosamente compiuto oppure sapientemente sospeso.  In quell’universo sfuggente l’arte del non dire è una pratica riservata a pochi: occorre una sensibilità fuori dal comune per poter guardare dentro quell’abisso e ricavarne intuizioni da poter elusivamente comporre nell’articolato linguaggio del cinema. Raccontare, infatti, non basta. La cronaca della quotidianità di Sara, una liceale affetta da anoressia, ricostruisce il disagio attraverso i suoi effetti più o meno nascosti, i soliti silenzi e sotterfugi che tutti si aspettano da una persona in crisi. Ciò che accade intorno a lei si lascia appena sfiorare da quei deboli segnali, senza partecipare alla loro spiegazione: il resto del mondo fa da muto e convenzionale sfondo ad un dolore i cui confini non sembrano per nulla aderire ai contorni degli eventi. Lo scollamento narrativo tra l’azione e l’ambiente circostante è pressoché totale. I fenomeni circostanti sono banali ed aspecifici, rispetto al male di cui soffre Sara: la mancanza di calore in famiglia, le incomprensioni con le amiche, il timore di non essere all’altezza delle aspettative altrui, il lutto per una nonna morente. Sara vuole dimagrire, si ingozza di cibo e subito dopo vomita, poi, ad un certo punto, smette di mangiare e registra, con appunti, video e disegni, i “progressi” ottenuti col passare dei giorni. La patologia evolve secondo il manuale. Tutto è così noto e prevedibile da non stimolare nemmeno la curiosità di indagare sulle cause. La voglia di chiedersi il perché si ferma davanti ad un paio di occhi chiari, piazzati in mezzo alla seducente tenerezza di un bel viso di fanciulla: uno sguardo timido e indecifrabile, che viene insistentemente inquadrato, come per frenare il corso dei pensieri con il fascino disarmante di un bellissimo vuoto. L’unica suggestione è un globale senso di gelo, che non vuole essere ulteriormente esaminato. A noi tocca soltanto il ruolo di inerti osservatori, dobbiamo stare lì ad assistere ad uno spettacolo che ben conosciamo. Ci costringono a rivederlo, continuando a non capire. E senza sapere dove il dramma inizi, e come vada a finire. Il generale no di Sara si ripercuote in un rifiuto – certo rispettoso, ma anche un po’ pavido – di andare a fondo della questione. Così  la delicatezza della presentazione smette di essere un tratto moralmente nobile ed esteticamente pregevole, per diventare un sintomo di scarsa originalità e velarsi di noia. La storia di Maledimiele ci lascia a digiuno di idee. La sua poesia è un verseggiare adorabilmente ingenuo, però già sentito.  Un lirismo acerbo che ci parla troppo a lungo sottovoce, fino ad esaurire l’incanto del sussurro, e conciliare il sonno della ragione. 

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