Trama
Nonostante sia divenuto una democrazia, l'Iran deve compiere ancora tutti i passi necessari per divenire un paese libero. Lo sa bene il regista Jafar Panahi, condannato nel 2010 a sei anni di reclusione e a vent'anni di interdizione dal set per aver denunciato al mondo, attraverso i suoi film, gli orrori del governo di Teheran. Nel periodo in cui attendeva la sentenza, il regista ha ripercorso in questo documentario la situazione in cui versa l'intera cinematografia iraniana. Ad aiutarlo e a raccoglierne la testimonianza c'è il regista Mojtaba Mirtahmas, in precedenza assistente di regia di Panahi stesso.
Approfondimento
PANAHI RECITA PER ESSERE LIBERO
Il 2 marzo 2010 il regista Jafar Panahi viene arrestato dalle milizie iraniane per aver partecipato alle manifestazioni di dissenso nei confronti del regime imposto dal presidente Ahmadinejad. Vincitore della Caméra d'Or al Festival di Cannes del 1995 con Il palloncino bianco, del Pardo d'Oro a Locarno nel 1997 con Lo specchio, del Leone d'Oro al Festival di Venezia el 2000 con Il cerchio, del Certain Regard a Cannes nel 2003 con Oro rosso e dell'Orso d'Argento a Berlino nel 2006 con Offside, Panahi si ritrova da un momento all'altro privato del suo lavoro e della sua arte: per impedire che le sue idee liberali di modernità possano diffondersi attraverso la sua arte, il regime gli vieta la possibilità di dirigere, scrivere e produrre film, nonostante da parte del mondo del cinema vi sia stata una mobilitazione internazionale in sua difesa.
Recluso per sei anni e impossibilitato a viaggiare e a rilasciare interviste per altri 20, Panahi nell'attesa che la sentenza divenga definitiva (cosa che purtroppo è avvenuta il 20 dicembre 2010) si lascia riprendere dall'allievo documentarista Mojtaba Mirtahmas, all'interno della sua abitazione-carcere. Del resto, la pena commutata parlava chiaro: nessuno gli vietava di fare l'attore, di interpretare un ruolo, e grazie a questo sottile stratagemma, di nascosto, è riuscito a realizzare This is not a film (Questo non è un film), arrivato in maniera furtiva al Festival di Cannes del 2011, viaggiando dentro una chiavetta usb nascosta all'interno di una torta. Le autorità iraniane non hanno gradito tale sgambetto e clamore, tanto che ad esempio anche a Mirtamahs è stato vietato di lasciare il Paese in occasione della presentazione del film al Festival di Venezia del 2011, durante un panel dedicato ai diritti umanitari.
Nonostante sia sopraffatto continuamente da un senso di impotenza per non potere impugnare la camera, Panahi trascorre il tempo dell'attesa della revisione del verdetto tra una telefonata e l'altra, accarezzando l'iguana che tiene sulle ginocchia. Le parole non lo aiutano a nascondere il disagio che prova ripensando all'importanza che i suoi film hanno per il processo di democratizzazione dell'Iran. Riprendendosi sa bene che ciò che sta girando non potrà essere definito film né tantomeno documentario: è un prodotto ibrido che viola ogni stilema classico di realizzazione e montaggio. Per girarlo si sta usando una videocamera digitale, si stanno inserendo frammenti ripresi da un iPhone, e in molti storceranno il naso durante la visione. Nei 75 minuti di girato, Panahi rivede i suoi film e li ricostruisce insieme a Mirtahmas, come se volesse cercare un alibi o una tesi a sostegno della sua difesa, mentre fuori dalle mura della sua casa i giovani continuano a manifestare. In un tempo che sembra non voler mai passare, Panahi si muove e compie azioni quotidiane - mangiare, portare la spazzatura fuori, ascoltare i messaggi in segreteria - ma progetta di tornare prima o poi dietro la macchina da presa e disserta su quale sia il contributo apportato da un regista a un'opera e della gravosa situazione in cui si ritrova ogni regista iraniano. Ha in mente di dirigere Note di una ragazza, una storia nata dalla penna di Cechov. Intanto, però, si consola con la fotografia e con gli scatti che il suo occhio riesce a cogliere.
Scrivi un commento breve (max 350 battute)
Attenzione se vuoi puoi scrivere una recensione vera e propria.