Regia di Frank Capra vedi scheda film
Come è potuto diventare un classico un film edulcorato, troppo lungo, e con due ruoli chiave ricoperti da attori non adatti alla parte (Ford e Lange)? Solo grazie a una "manciata di miracoli" (titolo originale) cinematografici: il talento di Davis, Falk, Mitchell, Horton, alcune gags ben studiate e il mestiere del vecchio maestro Capra. Voto 7.
L'ultimo film di Frank Capra parte col piede sbagliato, con un inizio che si poteva benissimo elidere facendo guadagnare ritmo al racconto; patisce un protagonista non ottimale (pare che Glenn Ford fosse considerato dallo stesso regista inadatto al ruolo del gangster originariamente italo-americano Dave the dude, tradotto con "lo sciccoso"; per quella parte erano stati contattati Frank Sinatra, Dean Martin, Kirk Douglas, ma tutti avevano rifiutato, poi era subentrato Ford che intervenne anche come finanziatore, e Capra lo accettò di buon grado); anche la bionda "esplosiva" Hope Lange ( anche lei, ottima attrice in altri ruoli, non era tuttavia la prima scelta per la sua parte, ma pare l'abbia voluta Ford con cui era fidanzata ) nella parte della soubrette "Queenie" non esplode abbastanza nè ha la verve che avrebbero potuto portare in dote al film altre dive di quegli anni (come Marylin Monroe, Kim Novak o Shirley MacLaine); compensa però, e alla grande, il resto del cast, a partire dalla grande Bette Davis, che mostra la sua stupefacente versatilità in un ruolo che tocca tutte le corde, dal comico al drammatico; per finire con una squadra di caratteristi insuperabile, con Peter Falk, futuro tenente Colombo sul piccolo schermo, capace di dare notevoli accelerate brillanti ogni volta che è in scena (effetto comico mantenuto e forse addirittura amplificato dalla meravigliosa e buffa parlata sicula creata per il doppiaggio italiano da Oreste Lionello); con Thomas Mitchell, grandissimo interprete di alcuni dei più celebri film della Hollywood degli anni d'oro (Ombre rosse, Via col vento, La vita è meravigliosa, Mezzogiorno di fuoco) in una delle sue specialità, ossia il ruolo dell'uomo di cultura un po' gaglioffo; con il meno noto ma egualmente magistrale Thomas Everett Horton, nella parte più divertente, quella dell'ineffabile maggiordomo; è grazie a loro, e all'abilità del regista di sfruttarne al meglio il talento cristallino, che la favola edificante di "Pocketful of miracles" regge e diverte, facendoci credere davvero, magari solo per la durata del film, che anche gli individui più cinici possano riscoprire l'altruismo e, attraverso di esso, la parte migliore di sè.
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