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Rivoluzione a Cuba

Regia di Luciano Malaspina vedi scheda film

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La recensione su Rivoluzione a Cuba

di (spopola) 1726792
6 stelle

Soprattutto intorno alla metà  del secolo scorso (e decadi immediatamente successive), l’attenzione sugli avvenimenti cubani  in funzione della rivoluzione castrista in atto, fu decisamente elevata. La successiva vittoria che spodestava una dittatura fortemente repressiva  rappresentò un elemento di straordinaria rilevanza che per un breve periodo fece concentrare in positivo proprio su quella piccola isola le speranze di rinnovamento dei progressisti di tutto il mondo… Poi  purtroppo, si sa come sono andate davvero a finire le cose (del resto succede quasi sempre così quando si tenta  di mettere in pratica un’utopia più facile da immaginare che da realizzare) e non c’è che da rammaricarsene, anche se in ogni caso pur nella frustrazione  per gli impegni non mantenuti e la delusione per l’ennesima possibile “strada al socialismo” così svilita nei fatti (come è accaduto appunto sotto il “peso” di una “dittatura” di differente matrice, ma ugualmente coercitiva), credo senza alcun rimpianto evidente per ciò che c’era  stato prima in quella terra martoriata, che forse era davvero “molto peggio” (anche se si tende a volerlo dimenticare), la cui storia particolarmente tormentata, è stata più volte ripresa e “raccontata” da numerosi documentaristi di valore fra i quali l’olandese Joris Ivens, i francesi Chris Marker e Agnès Varda, l’americano Richard Leacock, il sovietico Roman Karmen, l’esule spagnolo Josè Miguel Garcia Ascot e il tedesco Kurt Maetzig  che ne testimoniarono – ciascuno a suo modo - i movimenti e le evoluzioni, attraverso opere di differente pregio ed impatto.

A colmare il vuoto tutto italiano in relazione ai fatti epocali accaduti a Cuba, ci pensò nel 1964  Luciano Malaspina (1922-1979), un giornalista proveniente dalla critica cinematografica e televisiva (aveva collaborato con Cesare Zavattini per il film I misteri di Roma ed  era stato nel team di registi che nel 1963 realizzò  Il cinegiornale della pace), con una pellicola di montaggio intitolata Rivoluzione a Cuba (potrà sembrare singolare, ma da noi in quegli anni densi e “suggestivi” di fatti e di “promesse” comunque la si pensi sul “dopo”,  esisteva soltanto  la realizzazione “autoctona”  di due cortometraggi di Mario Gallo che si  limitavano  per altro a focalizzare l’attenzione solo sul folklore cubano e sulla riforma agraria, e quindi tutt’altro che esaustivi). L’opera di Malaspina che oggi potrebbe  risulterebbe un tantino demagogica), sulla scorta di un  vasto e spesso ancora inedito materiale di repertorio, rievocava  invece più o meno tutte le vicende dei primi 60 anni del secolo scorso della travagliata storia della piccola isola caraibica, con l’intento di fornire allo spettatore una documentazione storico-informativa finalizzata ad agevolare la comprensione di avvenimenti in quel momento di palpitante attualità, le cui origini però avevano radici profonde  e lontane.

Il film infatti, prendendo le mosse dall’elezione a presidente della repubblica di Tomas Estrada Palma avvenuta nel lontano 1902 e passando attraverso la ribellione del 1933 al regime  oppressivo del dittatore Machado (ricordo per inciso che proprio questo episodio fece  da sfondo  al film di John Huston del 1949 We Were Stranger da noi diventato Stanotte sorgerà il sole interpretato da John Garflield, Jennifer Jones, Pedro Armendariz, Gilbert Roland e Ramon Novarro girato con un atto di coraggio in pieno maccartismo e dai disastrosi esiti commerciali) giunge agli anni  insanguinati dal dispotismo del sergente Fulgenzio Batista, non senza però evitare di sottolineare anche criticamente  il sottile gioco di interessi politico-economici  degli americani che ci stava dietro, che costituì la trama più o meno segreta che per lunghi anni fece della piccola isola del Mar dei Carabi prima una specie di protettorato, e dopo una sorta di colonia per miliardari in cerca di svago e di facili affari fra gioco, sesso a buon mercato e malavita, per passare poi a parlare del movimento di liberazione castrista (iniziato con l’assalto alla caserma Moncada  di Santiago di Cuba  il 26 luglio del 1953) che dopo alterne vicende, l’arresto e la condanna del giovane Fidel, la conseguente successiva attività clandestina anche di guerriglia, la lunga marcia verso la Sierra Maestra, si estese come una macchia d’olio, tramutandosi in breve tempo nella rivoluzione di tutto il popolo contro la tirannia[1].

Le incalzanti immagini del film di Malaspina,  contrappuntate da un efficace commento fuori campo (voce di Giancarlo Sbragia)  di incisiva chiarezza espositiva, pur se strettamente legato alla retorica delle parole tipica dell’epoca, rendono l’insieme certamente un po’ datato nell’impaginazione narrativa, ma tutt’altro che disprezzabile (semmai il difetto maggiore va ricercato nel troppo enfatizzante commento musicale davvero “pesante” come un macigno di Egisto Macchi, che  soprattutto nella seconda parte più “eroicamente” positivista, diviene  insopportabilmente ridondante, tanto è  sovraccarico di  fastidiosi echi wagneriani  e di un tono eccessivamente celebrativo e pomposo, che non rende giustizia al valore tutto sommato molto più scarno ed essenziale delle sequenze documentarie che avrebbero avuto bisogno di essere invece sorrette da una partitura più idonea e misurata, che attingesse in maniera più consistente  al ricco patrimonio della musica locale o prendesse direttamente spunto dai canti rivoluzionari dei “barbudos”).

Dopo aver narrato le fasi salienti della rivoluzione, le immagini scelte da Malaspina raccontano quasi con l’immediatezza di un reportage giornalistico in diretta, gli avvenimenti costitutivi e le prime fasi della giovane Repubblica Socialista, fino ad affrontare i più spinosi  aspetti  legati ai momenti terribili della crisi internazionale che si sviluppò  fa il 1961 e il 962 e prese corpo il 16 aprile del 1961 quando il presidente Kennedy appoggiò uno sbarco armato degli esuli cubani sulle coste  della Baia dei Porci  per organizzare la controrivoluzione sull’isola, tentativo che però fallì, provocando l'avvicinamento politico di Castro all’URSS che fece rasentare il rischio di una nuova guerra  quando i sovietici decisero di installare a Cuba dei missili “difensivi” (scongiurata solo dal buon senso di entrambe le parti).

Il documentario si chiude proprio sul razionale superamento di quella grave crisi congiunturale e politica che per alcuni giorni tenne il mondo intero sospeso sotto l’incubo della minaccia atomica e di un nuovo conflitto internazionale.

Un film  un po’  datato dunque , ma assolutamente propedeutico, e che oggi più di allora potrebbe far discutere moltissimo in relazione al suo essere dichiaratamente “di parte”, ma che ha indubbiamente rappresentato uno dei momenti più significativi della attività documentaristica italiana della seconda metà del secolo scorso e che se anche  non arriva alla coerenza assoluta  e controllata di quelli realizzati dai grandi maestri internazionali del settore, andrebbe recuperato quanto meno per una oggettiva rivisitazione degli accadimenti  fatta così in prossimità, da risultare quasi “cronaca” (una conoscenza a mio avviso necessaria  per esprimere un giudizio non viziato  anche sul presente di un’isola come Cuba e le sue evidenti “contraddizioni” sociali ed economiche, spesso vissuto solo come un “paradiso” quasi da terzo mondo fra embargo e dittatura che lentamente sembra stia allentando un poco le sue maglie,  ideale per escursioni turistiche indirizzate più che al paesaggio, i verso il miraggio  tutt’altro che fallace, di facili avventure erotiche).





[1] La Costituzione Cubana fu approvata dall’'Assemblea Costituente della Repubblica dell’isola nel 1901. Purtroppo però gli  statunitensi che prima l’avevano più o meno governato come una colonia,  per abbandonare l'arcipelago  pretesero  e ottennero che fosse inserito nella Costituzione il cosiddetto '"Emendamento Platt", che prese il nome da quello del senatore del Connecticut che l’aveva proposto, in base al quale il governo cubano  si assumeva l’obbligo e l’impegno di mantenere in vigore le leggi emanate dal precedente governo di occupazione a partire dai piani di risanamento sanitario concordati con il governo statunitense,  a non firmare trattati con altri stati che potessero mettere in pericolo l'indipendenza cubana o comportassero la cessione o il controllo di territori anche parziali della nazione, e a non contrarre debiti senza che vi fosse la sicurezza di poterli rimborsare (una specie insomma di quel “pareggio di bilancio” di cui si parla qui da noi  proprio in questo periodo). L'emendamento prevedeva  però soprattutto la possibilità per gli Stati Uniti d'intervenire presso il governo (e di baipassarlo addirittura), qualora avessero ritenuto in pericolo l'indipendenza cubana o la garanzia del rispetto  della proprietà, delle libertà individuali e della vita. Agli Stati Uniti furono inoltre concesse in uso permanente, due basi navali: l'Isola dei Pini (oggi Isola della Gioventù, restituita a Cuba nel 1925), e Guantanamo, un territorio di 11.000 ettari circa successivamente ampliato a 17.000, tutt’ora di sua pertinenza, e diventato tristemente celebre per essere quello dove, dopo l’attentato alle torri gemelle del 2001, è stato costruito il famigerato carcere di massima sicurezza per i prigionieri  anche semplicemente sospettati di terrorismo. L’indipendenza fu  riconosciuta nel 1902 (primo Presidente della nascente Repubblica, Tomas Estrada Palma), ma l’evidente e drastica riduzione della sovranità nazionale dovuta  all’emendamento Platt, fece restare in pratica e a tutti gli effetti l’isola un vero e proprio protettorato americano, cosa questa che provocò da subito un giustificato sentimento popolare antimperialista già originato dalla precedente occupazione nordamericana tutt’altro che indolore, e che caratterizzerà per sempre la storia di Cuba. Fu proprio in base a tale emendamento che gli Stati Uniti giustificò i suoi tre successivi interventi armati, quello del 1906, che determinò l’insediamento di un  nuovo governo di occupazione rimasto in carica fino al 1909, e quelli del 1912  e del 1917, ma ne permise anche le continue, costanti intromissioni nell’azione di ogni governo cubano in campo economico, politico e sociale e un utilizzo egemonico  delle risorse. Particolarmente fraudolento fu il periodo in cui - ancora sotto l’egida esterna U.S.A - l’isola fu guidata dal Alfredo Zayas (1921-1925) che ignorò totalmente le richieste del movimento sindacale che si stava notevolmente rafforzato fra i lavoratori (e un movimento sindacale davvero forte, fa paura ad ogni governo, statene certi, allora come adesso). Zayas, interessato solo al suo arricchimento personale, combinò affari truffaldini approfittando della sua carica, giungendo  perfino a vincere "casualmente" per ben due volte il primo premio della Lotteria Nazionale, il che la dice davvero lunga sulle sue malversazioni. Nel maggio del 1925, fu  invece eletto a capo della nazione il generale Gerardo Machado y Morales che si era presenta to alle elezioni con un programma demagogico pieno di promesse mai mantenute, e si distinse semmai  al contrario,  soprattutto per la sua totale soggezione al volere statunitense e per la violenta repressione di  tutti i movimenti di protesta studenteschi e sindacali (quando io dico che la storia si ripete, e non ci ha insegnato niente, non ho forse ragione allora?). Utilizzando infatti corruzione, intimidazione e propaganda,  riuscì ad ottenere la proroga del suo mandato e a instaurare in pratica una feroce dittatura alla quale si opposero strenuamente lavoratori e studenti. Il malcontento generale per la violenza dell’azione repressiva del governo contro la protesta della popolazione (soprattutto quella giovanile) ridusse la lotta politica a un succedersi di atti di banditismo e di attentati  di cui non si riusciva a prevedere una fine né uno sbocco possibile. La situazione diventata sempre più incandescente finì per preoccupare il presidente Roosevelt che  invitò invano il dittatore a dimettersi. Lo sciopero generale (che se viene attuato davvero, sarebbe un’arma straordinaria anche oggi  e forse l’unica veramente risolutiva, checché  se ne dica in giro per tentare di demonizzarlo) e  il conseguente schierarsi delle forze armate contro Machado a seguito di tale incisiva azione, non solo impedì una nuova occupazione americana dell’isola, ma costrinse lo stesso Machado a dimettersi  (il 12 agosto del 1933). Il Congresso lo sostituì con Carlos Manuel de Cespedes,  altro nome molto gradito agli americani, ma di scarse capacità politiche che non riuscì a frenare l’impeto dei movimenti di protesta che ormai avevano preso piede in tutto il paese. Il 4 settembre del 1933 ci fi comunque una nuova sollevazione armata da parte dell’esercito che venne chiamata la "rivoluzione dei sergenti".  Il capo degli insorti era il sergente maggiore Pablo Rodriguez, ma fu  Fulgencio Batista ad approfittare della situazione e ad assumere la direzione del movimento insurrezionale. Batista riuscì così prima a farsi nominare colonnello, e poi a diventare capo di stato maggiore dell'esercito. Illusi dalle promesse, i movimenti operai, studenteschi e i partiti di sinistra appoggiarono quella insurrezione militare con lal quale fu deposto de Cespedes  e sostituito da  Ramon Grau San Martin che assunse il potere il 10 settembre. Grau in effetti cercò di fare molto per la popolazione: adottò misure a favore dei lavoratori, intervenne direttamente contro il monopolio nordamericano che controllava la distribuzione di elettricità e gas, condonò il 50% delle tasse non pagate alla scadenza, e prese soprattutto una posizione antimperialista adottando molte positive misure di carattere sociale e giuridico. Gli statunitensi allarmati e sollecitati dalle classi tradizionalmente di potere (soprattutto quello economico, come ben si sa) cercarono di porre rimedio e favorirono di conseguenza  il golpe militare di Fulgencio Batista che il 15 maggio 1934, forte dell’appoggio dell’esercito, abbatté il governo di Grau, diventando così il demiurgo assoluto della nazione, che gli consentì però di mantenere fino al 1944 il favore delle classi popolari e persino dei comunisti grazie a una serie di provvedimenti molto demagogici. Nel 1944 volendo continuare a  mantenere un’immagine di facciata di democratico, indisse nuove elezioni  pur non potendovi partecipare perché la costituzione proibiva (giustamente, non vi pare?) un terzo mandato presidenziale. Fu rieletto allora  Grau, e dopo di lui Pio Socrates, ma il vero deus ex machina di questi due governi che si dimostrarono particolarmente corrotti e violenti fu ancora e sempre Batista che tesseva le fila dall’esterno, e che nel 1952, quando risultò chiaro che alle nuove elezioni presidenziali avrebbe avuto la meglio un candidato di diversa estrazione e con idee davvero progressiste, con un colpo di stato prese il diretto controllo dell’isola con l’incondizionato appoggio delle grandi compagnie statunitensi dello zucchero e soprattutto del governo di Washington. Gli Stati Uniti ovviamente  riconobbero subito il suo illegittimo governo e Batista con la garanzia del suo arricchimento personale,  ricambiò svendendo  il 90% delle miniere di nichel e delle proprietà terriere, l’80% dei servizi pubblici, il 50% delle ferrovie a ditte americane facendo così di Cuba una specie di colonia  che divenne di fatto la capitale del gioco d’azzardo e della prostituzione, ospitando anche esponenti della mafia statunitense che si impadronì di alberghi, case da gioco e  postriboli, sfruttando il turismo sessuale e vizioso  dei ricchi magnati della finanza e del petrolio, oltre che dei malavitosi (la serie de Il Padrino di Coppola ce ne fornisce un quadro esaustivo e ben documentato). Dopo il già citato un tentativo di insurrezione fallito (l'assalto alla caserma "Moncada") e un successivo periodo di detenzione, nel 1955 l’Avvocato Fidel Castro Ruz – da sempre oppositore di Batista, si trasferì in esilio in Messico, dove ebbe la possibilità concreta di riorganizzare la lotta contro la dittatura con nuovi volontari, tra cui il medico argentino Ernesto Guevara De La Serna (il mitico “Che”). Il tentativo insurrezionale si concretizzò praticamente con una spedizione di 82 persone  che a bordo di una piccola imbarcazione di appena 12 metri, sbarcò clandestinamente nell’isola, per dare il via alla guerriglia. Il periodo iniziale della lotta concentrata sui monti della Sierra Maestra nel sud di Cuba, fu particolarmente duro e le perdite ingenti. Grazie anche al supporto delle trasmissioni clandestine di Radio Rebelde i guerriglieri riuscirono comunque a conquistarsi lentamente il consenso delle popolazioni locali che permise la costituzione di un piccolo esercito popolare, sufficiente per affrontare quello nazionale fino alla battaglia decisiva (quella di Santa Clara)  del 30 dicembre del 1958. La notte di  Capodanno,  lo sconfitto Batista fu così costretto a darsi alla fuga, ma si portò con sé oro, argento e denaro delle riserve nazionali. Il 1° gennaio 1959, le colonne ribelli si diressero verso la capitale senza incontrare alcuna resistenza e Castro entrò a L‘Avana insieme agli altri barbudos fra il tripudio generale, l’8 gennaio di quell’anno. Il resto, è storia più recente e risaputa.

 

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