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Tutta la memoria del mondo

Regia di Alain Resnais vedi scheda film

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La recensione su Tutta la memoria del mondo

di (spopola) 1726792
8 stelle

Toute le mémoire du monde è un documentario che Resnais ha girato nel 1956 (su commissione e per conto del Ministero degli Esteri francese) interamente dedicato alla Biblioteca Parigina del libro, una delle più importanti realtà mondiali che racchiudono la “memoria ” cartacea  della nostra storia passata, presente (e spero anche futura, nonostante Internet).

Una testimonianza diretta della capillare organizzazione di questo organismo tentacolare dunque (funzioni e finalità comprese), ancora una volta riproposta però attraverso il supporto mediato della poesia e della “creazione artistica”.

L’aspetto architettonico di questo immenso archivio della  “conoscenza”, è in verità piuttosto funereo, visivamente parlando, sicuramente di una tale austerità formale, da mettere quasi soggezione, ma quel che esso contiene (e che si percepisce da subito) è un qualcosa di “palpitante”, riguarda la vita stessa dell’uomo, il sapere, le origini ed è quindi ancora una volta  dal contrasto fra il “contenitore” e il contenuto, fra la forma e la sostanza, che nasce il fascino della regia di Resnais, capace già di muoversi dentro quella labirintica struttura, esattamente  come farà cinque anni dopo con Marienbad (con la stessa superba maestria, intendo dire): veloci carrelli che anche qui esplorano i corridoi e le stanze, o lente inquadrature sulle volte ingiallite dei soffitti, che riescono a darci una precisa connotazione dell’ambiente, così come gli stucchi, gli orpelli, gli specchi, i fregi, riusciranno a definire con analoga compartecipazione emotiva, il freddo, fascinoso “albergo” (quasi un luogo imprecisato della mente) all’interno del quale si muovono e vivono  gli ambigui personaggi de L’année  dèrniere à Marienbad.

Ma il lavoro “introspettivo” del regista non si ferma ovviamente soltanto qui, perché come sempre nel suo cinema, i livelli di lettura sono molteplici,  e anche questa volta - come poi accadrà con Mariembad  (e il riferimento è davvero “obbligato”) - Resnais entra lentamente nel vivo della “storia” che intende raccontare, analizzando e “decifrando” per noi tutta la trafila che fa il libro (o meglio ogni libro che entra nella struttura) , descrivendone tutte le tappe in successione, dal suo ingresso alla sua catalogazione e all’”incasellamento” anche tematico, comprese le successive operazioni di ricerca (che adesso probabilmente con l’avanzamento della tecnica anche computerizzata  prevederanno procedure molto più semplificate ed accessibili) quando l’utenza richiede uno specifico titolo per la consultazione, oltre naturalmente ad evidenziare le meticolose, certosine operazioni di “restauro”, e lo straordinario lavoro di manutenzione conservativa che passa  attraverso le pulizie quotidiane dei volumi che racchiudono fra le loro preziose pagine  quell’immenso patrimonio culturale che rappresenta davvero  “tutta la memoria del mondo”.

Resnais  mette in scena persino le ferree regole che vigono dentro al Biblioteca (senza alcuna pedanteria però), e fonde così bene fra loro tutti gli elementi messi in campo visivi, di parola e musicali (ottimo il contributo di Maurice Jarre) da “regalarci” davvero uno dei film-documento fra i più affascinanti e coinvolgenti mai visti, capace com’è di “raccontarci” l’immutabile “eternità” quasi staticizzata dell’ambiente, e al tempo stesso, anche la straordinaria attualità  di ciò che vi è racchiuso (che a mio avviso resta tale anche nell’era di avanzata tecnologia che stiamo vivendo).

Nel suo volume dedicato a Resnais per la collana “Il Castoro Cinema”,  Paolo Bertetto scrive al riguardo: La struttura del labirinto – che svolge un ruolo essenziale in tutta la produzione cinematografica resnaisiana, e che, d’altra parte, è presente anche in tutto il “nouveau roman” – trova in questo “Toute le mémoire du monde” una prima formulazione, esemplare per rigore formale e purificazione dei materiali.  E’ in effetti  proprio la  tecnica di scrittura resnaisiana basata sull’incessante “ travelling”, inteso come il sistematico movimento della macchina da presa che si impadronisce progressivamente dello spazio ( e soprattutto il carattere di scoperta “spaziale” insito nell’impiego della macchina da presa), l’elemento, che tende ad implicare, di per se stesso, proprio la struttura del labirinto. In tutti i documentari di Resnais  e in questo in particolare infatti, la determinazione dello spazio filmico non procede mai – nei suoi aspetti essenziali - attraverso una individuazione lineare e semplificata, ma è sempre il prodotto di un procedimento di scoperta e di composizione formale progressiva (e ciò si ripeterà poi anche nei sui film a soggetto soprattutto per quanto riguarda la prima fase della sua avventura cinematografica).

Il ritmo è poi così incalzante, scandito con perfezione metronomica nelle varie fasi  illustrative già sopra evidenziate (arrivo, registrazione, incasellamento, etc.) che ci si lascia progressivamente avvolgere nelle sue spire, poiché  vi si capta dentro un qualcosa,  più che di  “sicuro”, di “tranquillizzante”, una piacevole certezza che in ogni caso, quello che l’uomo fa ed ha prodotto,  non va perduto, non va dimenticato, che è poi una ulteriore acquisizione di conoscenza indiretta che ci fa diventare a nostra volta pienamente consapevoli di questa “verità” inconfutabile e necessaria che ci rassicura . Per raggiungere questo effetto straordinario, Toute le mémoire du monde fonde dunque in sé, come già accennato, due elementi quasi antitetici:  il fascino del luogo, misterioso, antico, quasi “una “chiesa del sapere” mi verrebbe da definirlo (che è un qualcosa che  punta tutta la sua attrattiva ammaliante sull’irrazionale), e la rassicurante sicurezza tutta razionale che il meccanismo, l’organizzazione che vi si muove dietro, lo sta rendendo veramente un eterno e immarcescibile  “archivio” del sapere colto nel suo divenire fra “passato” e presente e quindi in costante evoluzione  (il che fa diventare il tutto e ancora una volta anche se in maniera più mediata e meno diretta, uno specifico discorso sulla memoria e sull’importanza di “ricordare”, una “memoria” che è qui intesa quasi  come uno spazio dinamico che  coordina ed unifica  i comportamenti - e le conquiste -  del passato con quelle del presente). Resnais sottolinea infatti “a suo modo”, il valore fondamentale del  recupero e del conseguente “mantenimento” attivo della conoscenza, e questo fa assumere a Toute le mémoire du monde proprio il senso di uno straordinario viaggio compiuto attraverso il cinema in uno spazio realistico, ma praticamente realizzato all’interno di un percorso  che diventa una vera e propria esplorazione dei  labirintici spazi mnemonici dell’universo mentale.

Resnais è così consapevole di questa similitudine “realisticamente possibile” (ce la prospetta persino nelle sue dichiarazioni esplicative quando dichiara che  il suo interesse per il progetto è stato soprattutto sollecitato dal fatto che La Bibliothèque Nationale ha spazi molto grandi da esplorare, con dei labirinti dove ci si perde e ci si smarrisce così simili a quelli della mente e del pensiero), da metterla poi in pratica con una straordinaria efficacia proprio nel   trasformare  attraverso la macchina da presa quei dedali infiniti della biblioteca,  in un labirintico, fantastico spazio della mente dove si fondono insieme reminiscenze e immaginazioni, perché è proprio lì, in quel rincorrersi costante di sensazioni e di rimandi, che i contorni delle cose sembrano lentamente sfumare in una dimensione quasi irreale, mentre l’universo così “concreto” e tangibile della biblioteca stessa, pare piano piano dissolversi nell’onirismo. Il bibliotecario, i libri, gli scaffali, i corridoi, gli ascensori, gli apparati pneumatici, tutto finisce infatti per assumere una dimensione fantasmatica che sembra unificare irrealtà e mondo esterno, allucinazione mentale e topografia labirintica, spazio materiale della sapienza memorizzata e itinerario cerebrale. Ed ecco allora  che ogni elemento ripreso e rappresentato si trasformano in qualcosa di molto diverso da ciò che è “realisticamente” parlando: strutture  astratte,  corridoi, apparati meccanici,  piani diagonali delle riprese, impennate verticali della macchina da presa, rimangono esattamente quello che sono, ma risultano totalmente svincolati da una funzione referenziale specifica che li identifica davvero, trasposti come sono in un orizzonte di materializzazione simbolica del concetto, quella “ripianificazione semantica” dei materiali che Tynjanov indicava proprio come una delle necessità primarie per l’elaborazione del linguaggio artistico del cinema (Bertetto).

Il soggetto specifico, la particolare  “fonte” che aveva finanziato il progetto e la finalità stessa dell’operazione, imponeva a Resnais e al suo sceneggiatore, Remo Forlani, di attenersi in ogni caso ad una minuziosa, paziente e particolareggiata descrizione delle meraviglie della Biblioteca, e le strade per farlo potevano davvero essere molteplici, persino elementari: Resnais ha scelto invece di farlo utilizzando la straordinaria metafora della rappresentazione visiva delle cose (ed è proprio per questo che più che sulla realtà materiale della biblioteca, si concentra  sui “concetti” che rappresenta e racchiude). Smaterializza quindi a suo modo i luoghi  reali fino a renderli meno “oggettivi”, li fa diventare “soggettivi”, quasi una reinvenzione rivissuta nei termini e nei modi di una vera e propria “avventura” tutta mentale. E’ un lavoro “preparatorio” di “ricerca formale” qui ancora non del tutto compiuto (ma lo sforzo creativo è straordinario anche se a volte non tutto riesce davvero a “liberarsi” completamente della presenza ingombrante della propria forma funzionale). In ogni caso – e ce lo ricorda ancora Bertetto - il progetto di costruzione di un universo filmico smaterializzato  integralmente ricreato dalla scrittura e proiettato dentro  le strutture dell’attrazione mentale così caro a Resnais, trova certamente  proprio in “Toute la mémoire du monde” la prima sistematica realizzazione che anticipa e prepara alla scrittura psico-astratta, concettuale-immaginaria, di “L’année dernière a Marienbad. Non fosse altro quindi che per questo aspetto (al di là degli altri meriti “formativi” e di documentazione che possiede) il documentario in questione rimane una tappa fondamentale per comprendere ed apprezzare, partendo proprio dalle origini, le “costruzioni” visive e mentali di tutto il lungo percorso sulla memoria, sul tempo e sugli spazi,  operato da Resnais attraverso il suo straordinario modo di fare cinema.

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