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Michel Petrucciani - Body & Soul

Regia di Michael Radford vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Michel Petrucciani - Body & Soul

di yume
8 stelle

Una storia folgorante di successi e di eccessi, tante donne, due mogli, anche la droga, per un po’, due figli, nonostante tutto, ma soprattutto musica, sempre. La gioia della musica sul suo viso, mentre suonava e non esisteva altro. Se non fu un Dio gli somigliava molto.

“Immaginati alto un metro. Immagina di avere questo incredibile talento racchiuso in un corpo talmente piccolo. Come ti sentiresti?”.

Le parole della seconda moglie aprono il film e lei guarda in macchina.

La risposta è nel film, ma non la nostra, quella di Michel Petrucciani.

Come si è sentito ce lo racconta un biopic che ha fatto alzare il sopracciglio alla critica militante. Concorde nelle definizioni, parla di un biopiclineare, moderato, agiografico”. Quella francese va giù pesante parlando di “vision romantique de l’artiste, détruit par ses addictions mais perpétuellement génial !... “

Sceneggiatura “all’americana” che utilizza l’handicap come risorsa per il successo, il film sarebbe troppo incline al mito americano del self made man (“rien n’arrête celui qui a décidé de suivre son chemin”)aneddotico e soprattutto glissant sulla musica, il contesto storico e non si sa quante altre cose.

A noi spettatori che, pare, amiamo molto il biopic, soprattutto se agiografico (Michael Radford se contente ici de répondre à une commande, justifiée par l’actuel intérêt du public pour les biopics, documentaires ou fictionnalisés) ilfilm è infatti piaciuto, e i non esperti della sua musica, dopo, non avranno esitato a diventarlo, per chi invece ha avuto la fortuna di sentire Petrucciani in un lontano 1996 la commozione è stata inevitabile.

Il linguaggio filmico è così diventato il luogo dello stupore, incollati davanti allo schermo da una storia in cui la regia tende ad eclissarsi per lasciare tutto lo spazio al personaggio, all’unica prospettiva soggettiva di uomo/musicista segnato da un corpo talmente in rivolta contro i suoi limiti da vivere e respirare sempre in eccesso.

Che questo si consumi sulla tastiera di un pianoforte o si manifesti nelle varie circostanze della sua vita di uomo, perfino con il dolore di ossa che si rompevano mentre suonava, tutto il breve percorso di vita di Petrucciani ne è stato segnato.

Radford ci presenta questa immagine, e nel farlo ne segue le tappe con quella simpatia che era ciò che più di ogni altro sentimento l’artista comunicava agli altri.

Sempre sorridente, amante dello scherzo, mattacchione come pochi, ci si dimentica quasi del suo immenso problema e si guardano soprattutto due cose: i suoi occhi, brillanti, mobili e così aperti sul mondo e le sue mani meravigliose, dalle dita lunghe e affusolate, mani dalle ossa leggerissime che gli permettevano gesti dieci volte più rapidi del normale,.

Una mano destra straordinaria “la più pulita, la più veloce, la più limpida”, capace di fraseggiare come un uccello canoro senza mai interrompersi, e “la mano sinistra più bella del mondo” comedisse Lorin Maazel dopo averlo visto suonare.

 

E’ morto a 36 anni Michel Petrucciani, nel 1999, a New York, in un freddo inverno pieno di ghiaccio.

Ora riposa a Parigi, al Père Lachaise, il cimitero dei grandi, soprattutto artisti, accanto alla tomba di Chopin, anche lui morto giovanissimo, a 39 anni.

Michael Radford gira un biopic poco più di dieci anni dopo e fa un film in cui domina la nozione di musica come riparazione al danno prodotto dalla natura.

Lineare nel raccontare dalla nascita alla morte la vita breve di un genio della musica, il film inizia come un reportage documentaristico, con interviste in presa diretta e filmati d’archivio, per divenire poi sguardo che s’incolla al protagonista per quel fenomeno di fascinazione che si produce, inevitabile, in casi del genere.

Petrucciani esce così dall’icona, diventa oggetto che lotta per farsi soggetto, riusciamo a pensarlo non più come star, nome a cinque stelle di patinate copertine del settore, ma come uomo con tanta voglia di vivere e dar libero corso a quella luce che aveva dentro.

Cosmopolita per elezione, capace di scelte autonome in una vicenda da globe trotter in marcia fra Europa e America, il suo rapporto estremamente fisico, carnale, con la musica è stato irripetibile: “E’ qualcosa di fisico, se c’è una melodia deve uscire, altrimenti mi sento male. E’ come quando ho molta sete, devo bere, se non bevo casco”.

Qualunque cosa faccia, pare sempre che stia suonando o lì lì per farlo, si direbbe un uomo/musica, uno strano extra-terrestre di fronte al quale sarebbe assurdo ricorrere ai consueti parametri di normalità.

Già sul nascere “si ruppe tutte le ossa che aveva in corpo venendo al mondo”, e si fa fatica, da uomini che vivono settanta, ottanta anni senza lasciare traccia, a pensare cosa significhi scendere dall’Olimpo e venire tra noi.

Era una famiglia modesta quella dove Michel venne al mondo a Orange, il 28 dicembre 1962.

Il padre aveva un negozio di musica, andava pazzo per il jazz, in casa c’era solo quello e il giorno in cui il piccolo Michel gli cantò tutte le melodie ascoltate rimase “di merda”.

La madre, dolcissima, si occupava della casa e dei figli, soprattutto di lui.

Senza quella madre Michel non sarebbe sopravvissuto” dice chi li conobbe.

Osteogenesi imperfetta, ossa fragilissime che si rompono e si deformano. Nanismo è una delle conseguenze più evidenti.

Non diventerà vecchio” diceva il padre alla madre, ma i due fratelli lo coccolavano e giocavano con lui come se l’handicap non esistesse. Il padre scommise molto su di lui, lo volle pianista a tutti i costi, niente scuola, solo musica e cassette per corrispondenza di materie varie su cui Michel registrava altra musica.

Un padre ossessivo, una singolare coincidenza con un altro genio della musica, il piccolo Mozart e suo padre.

Ma Michel è uomo di altri tempi.

Jam session di jazz in casa del dott. Clauzel a Montélimar sono il suo apprendistato e il primo contatto con un pubblico. Arrivava portato in braccio dalla madre e tutti lo guardavano come un bambino finchè si metteva al piano e suonava come un professionista. Aveva nove anni.

Il pianoforte mi parla, quando alzo il coperchio vedo i suoi denti, è una bocca che sorride e mi canzona, sembra che dica “Dai, vediamo cosa sai fare”.

 

Michel Petrucciani - Body & Soul (2011): Trailer Italiano Ufficiale

Tutto in Petrucciani contraddice la misura umana, stravolge il concetto di normalità.

Le stars del jazz nord-americano sono tutte oltreoceano, le raggiungerà e una alla volta si materializzeranno davanti ai suoi occhi fino al giorno in cui faranno a gara per suonare con lui.

Una storia folgorante di successi e di eccessi, tante donne, due mogli, anche la droga, per un po’, due figli, nonostante tutto, ma soprattutto musica, sempre.

La gioia della musica sul suo viso, mentre suonava e non esisteva altro. Se non fu un Dio gli somigliava molto.

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

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