Regia di Peter Ho-sun Chan vedi scheda film
Un bel filmone in costume quello di Peter Chan, che ha presenziato la proiezione di mezzanotte al festival di Cannes. C'e' un che' (ovviamente) della ritualita' gestuale di kurosawa, dell'ambiguita' dell'ultimo cronenberg, e una fotografia e perfezione formale degni del migliore (il migliore!) blockbuster hollywoodiano. La cosa che piu' interessa al regista, al di la' dei moralismi e della definizione dei particolari rapporti padre-figlio, e' la minuziosa ricerca della verita'. Liu si e' ormai integrato profandamente con il villaggio cui giunse dieci anni prima. Ha una moglie, due figli e un lavoro, ed e' la persona piu' gentile e umile della comunita'. Durante un tentativo di rapina, riesce goffamente ad uccidere due malviventi. Un detective scopre che quest'ultimi sono tra i piu' pericolosi criminali del regno. Forse la goffaggine di Liu era solo una messa in scena? Da dove viene? Chi e' veramente? Sembra di rileggere il copione di "an History of Violence", ma qui il centro d'interesse non sono le reazione umane, bensi il processo di ricerca puntiglioso e dettagliato: il detective ripercorre i singoli passi, i singoli pugni, i singoli sospiri della lotta. Quelle che Alberto Negri definiva "oggettive iperrealistiche" diventano il tratto dominante, la cifra stilistica per eccellenza di "Wu Xia", al punto tale da perdere la caratteristica connotazione commerciale e perseguire con esse una nuova e tecnologicamente aggiornata poetica tipicamente orientale.
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