Regia di Hong-jin Na vedi scheda film
Quando avevo anni undici anni si era diffusa la rabbia in tutto il vicinato Anche il nostro cane si prese la rabbia. Prima uccise la madre a morsi. Poi quello che poteva azzannare lo mordeva fino alla morte. Alla fine quando i vicini erano pronti ad ucciderlo scappò. Dopo pochi giorni il cane si ripresentò estremamente magro. Nei suoi occhi neri non si vedeva alcuna forza. Ma mi fissò per un momento, poi lentamente si distese e morì. Seppellii il cane dietro i vicini, poi quella notte fu disseppellito e mangiato dagli anziani. Il motivo per cui pensai a quel cane così all'improvviso è perché dopo quello la rabbia si diffuse. La rabbia si sta diffondendo.
È Gu-Nam che parla, un tassista a corto di soldi. Sta giocando a mahjong con un gruppo di ‘cani arrabbiati’ peggio di lui, avanzo di galera che vive di raggiri ma non si rassegna a fare l’unico lavoro che rende, - il killer.
Siamo nella ridente cittadina di Yanbian, - dicono i tour operator a delinquere, - nella parte cinese del confine con la Russia. Yanbian, Prefettura Autonoma della Corea del Nord, nella provincia di Jilin che si trova nella Cina nordorientale A partire dagli anni del secolo scorso centinaia di migliaia di persone sono andate lì per lavorare.
Gu-Nam è un cinese-coreano, - uno joseon, disprezzato come tutti gli appartenenti all’etnia sradicata che vive nella Repubblica popolare Cinese.
Oltre il Mar Giallo, se riesci a salire a bordo di un cargo, vai in Corea. La moglie di Gu-Nam ha preso il largo su questo mezzo controllato dalla mafia locale, per andare a fare la puttana. Ha promesso un po’ di soldi al marito, ma Gu-Nam non ha visto un solo yuan e ne deve un bel mucchio a Mr Myun-Ga, capo del crimine organizzato, peggio di un cane rabbioso. Se non paga il denaro perso a mahjong, Gu-Nam ha le ore contate: il braccio armato di Myun-Ga ha leve potenti nella zona e oltre il Mar Giallo. In gioco è la vita sua e della piccola Seung Hee, il lascito della moglie che vive con la nonna.
Gu-Nam accetta l’incarico: prendere il cargo e arrivare in Corea. Lì, nella Città di Seoul, Zona di Kang Nam, deve fare fuori il professore Kim Seung Hyun, riprendere il mare e portare a Myung-Ga il pollice della vittima. “Se lo dimentichi, tutta la tua famiglia morirà”, parola di Myung-Ga.
Qualcuno arriva a destinazione prima di lui. Qualcuno fa il lavoro sporco.
Gu-Nam si lascia scivolare la vita addosso, non teme il ritorno, al contrario cerca di trovare sua moglie, “quella ragazza marcia dagli occhi obliqui, divisi come una vagina”.
Il resto della storia è materia criminale, convulsiva come lo sguardo della Gorgone, confusa come un puzzle mancante di tessere, concitata come il passo del diavolo.
Il crimine non ha geometrie limpide se non nei thriller addomesticati, The Yellow Sea trasgredisce l’ordinata sequenza degli eventi con il ricorso all’action-killing, una variante estetica dell’assassinio come una delle belle arti; alla razionalità della forma-cinema oppone il tumultuoso disordine del mondo. Il mestiere delle armi è appannaggio del catalogo dei cavalieri erranti, dei ronin, degli yakuza, non è di casa a Yanbian. Lo joseon è fuori dalla storia della polvere pirica, il suo habitat è situato nell’età del ferro e del bronzo.
All’ultimo sangue, Gu-Nam e Myung-ga sono nella preistoria.
Giusto per fugare i dubbi avanzati dalla critica che l’opera seconda di Na Hong Jin sia inferiore al precedente abbagliante The Chaser, penso che l’unico difetto del film sia l’eccessiva durata, circa due ore e quaranta, che dà l’impressione come se il regista voglia strafare offrendo una 'prova d'arte' della quale non ha bisogno avendo soddisfatto con The Chaser tutte le garanzie di un cinema solido visivamente potente di grande maturità espressiva per un 'principiante’.
Un film mancato dunque? A un'analisi delle fonti direi proprio di no perché tra i 'difetti' fin qui rilevati da altri si fa strada nel cinema coreano una pista che finalmente si smarca dall'influenza - ormai spasmodicamente evidente di una linea narratologica di derivazione melvilliana-bressoniana - per un approdo, questo sì di grande rilievo, verso un cinema che prende a modello i grandi esiti friedkiniani e manniani [vedi gli inseguimenti a piedi e in auto ripresi con vertiginosi movimenti di macchina a mano e sublimi travelling superveloci] segnatamente The French Connection [i pedinamenti di Gu Nam che mangia panini per strada ricordano da vicino gli atteggiamenti di Jimmy 'papa' Doyle/Gene Hackman] e l'inarrivabile Vivere e morire a Los Angeles [skiline e linee di fuga del panorama urbano] mentre il ritmo battente che segue alla quiete [con grande sfoggio di uno score tutto ritmato sulle percussioni liquide in concorso con l'anapestico rullare di timpani e grancasse] supera a mio parere le accensioni di ferinità che in Michael Mann sono sotto il controllo di una ratio umanistica tesa a frenare gli impulsi di morte tramite il ricorso a simbologie ireniche di azzurrità degli sfondi in cui urge la lotta per la vita.
Niente di tutto questo in The Yellow Sea solo homo homini lupus senza remissione, senza gloria per nessuno Un mondo che è all'estremo limite della razionalità.
Il plot non ha nessun rilievo nel cinema del giovane talento coreano [né i molti rivoli della fabula lasciati in sospeso].
Importa poco il plot: è un puro pretesto cui appendere il tempo del massacro.
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