Regia di Robert Guédiguian vedi scheda film
La solita Marsiglia del porto commerciale e dei lavoratori, alle prese, nel 2010, con la crisi irrimediabile degli scambi via mare, con la velocità dei trasporti intercontinentali e con il sindacato glorioso, la CGT, forse non più all’altezza dei tempi.
Anche Michel (Jean-Pierre Darroussin), anziano sindacalista marsigliese della CGT, avrebbe perso il lavoro come gli altri 19 lavoratori, che, ugualmente sfortunati, erano stati estratti a sorte.
Per non far torto a nessuno, il sindacato aveva deciso, infatti, di affidare alla dea bendata il destino di 20 “esuberi”, i lavoratori in eccesso, di cui il cantiere intendeva liberarsi. In questo modo, purtroppo, facendo torto a tutti.
Se la CGT avesse adottato altri criteri – tenendo, ad esempio, conto delle situazioni socialmente più insostenibili – forse si sarebbero potute evitare gravi ingiustizie.
Questa, almeno, era la convinzione espressa. con parole durissime, da Christophe (Grégoire Leprince-Ringuet), giovane operaio dalle pessime amicizie, rabbioso e invidioso nei confronti dei suoi compagni di lavoro e dei sindacalisti più anziani soprattutto, che gli sembravano eccessivamente amanti dei compromessi, grazie ai quali il piccolo privilegio della cassa integrazione, a poca distanza dalla pensione, era un modo comodo per sopravvivere senza la fatica del lavoro…
Nessuna comprensione, invece, per la frustrazione dei vecchi lottatori che ora si sentono, proprio come Michel, inutili ed emarginati.
Si presenta, in questo modo, la complicata vicenda del film, che per certi aspetti è una lucida rappresentazione della crisi economica che, alla fine del primo decennio del nostro secolo, stava dilagando in tutto l’occidente e mettendo in discussione non solo i vecchi modi di lavorare, ma lo stato sociale, le forme note della rappresentanza sindacale, nonché ogni forma di solidarietà generazionale sulla quale, fino a qualche decennio prima si era fondata la convivenza civile e la famiglia.
Le accuse di Christophe, infatti, non erano dissimili da quelle che continuavano a muovere a Michel i suoi stessi figli che, sia pure in altro modo e per altre ragioni, mettevano in discussione le lotte di un tempo: tante ore sottratte alla famiglia, tanti sacrifici imposti a tutti, per quale risultato? Non solo non era nato un mondo migliore, ma non era neppure lontanamente all’orizzonte: non restavano che cumuli di macerie, nuove ingiustizie e molto dolore.
Michel e sua moglie Marie-Claire (Ariane Ascaride), anziani coniugi ancora innamorati e complici, avrebbero potuto, forse, consolarsi col bel viaggetto, alle falde del Kilimangiaro, offerto dai parentii e dai colleghi, per festeggiare il trentesimo anniversario del loro matrimonio felice se non fossero rimasti vittime di una feroce rapina organizzata da Christophe, con un complice balordo e confuso più di lui…
Eppure, Michel e Marie Claire, spontaneamente solidali verso i meno fortunati di loro, si sarebbero adoperati – rinunciando al viaggio – per rimediare, per quanto possibile, alle ingiustizie più gravi, di cui erano venuti a conoscenza dopo la rapina, che riguardavano i fratelli più piccoli dello sciagurato Christophe.
Il film, molto "edificante", è disuguale nei risultati, e, secondo me, improbabile e inutilmente arzigogolato nella parte centrale.
Si ispira liberamente al poemetto di Victor Hugo: “Les pauvres gens“, di cui si avverte lo spirito umanitario e amorevole, da socialismo ottocentesco, soprattutto verso la conclusione che riscatta un po' un’opera non sempre convincente, nonostante l’eccellenza degli interpreti fra i quali si segnalano Ariane Ascaride e Jean-Pierre Darroussin, attori – feticcio del regista, nonché la giovane e bella Anaïs Demoustier.
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