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Le nevi del Kilimangiaro

Regia di Robert Guédiguian vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Le nevi del Kilimangiaro

di yume
8 stelle

Una storia di coraggio quella che questo armeno di Marsiglia mette in scena fra il porto e le case del suo quartiere, l’Estaque, usando la pellicola piuttosto che il digitale per restituire all’ambiente il suo luminoso colore mediterraneo

 

La difficoltà di vivere dei suoi contemporanei, turbati e quasi sfiniti dall’immane travaglio di rinnovamento della civiltà, si riflette in molti dei suoi personaggi, svuotati da un’affranta incapacità ad agire e isolati in un’accorata incomunicabilità … Vi è una dolorosa antitesi tra la volontà di ottenere il bene attraverso la conquista di una dimensione esclusivamente umana dell’esistenza e la constatazione delle forze che a tale aspirazione si oppongono; e quest’impotenza culmina nella drammatica incapacità di trovare una ragione in cui tale conflitto giunga ad una conciliazione.

Questa sconsolata visione è peraltro fronteggiata dall’ottimistica fiducia nella fondamentale bontà della natura umana. Menandro è convinto che, se ogni evento della vita si adeguasse alle leggi di questa natura, tutte le cose andrebbero per il meglio, come nel modo migliore si risolvono le vicende delle sue commedie, in un singolare contrasto con l’atteggiamento dei loro pensosi protagonisti, i quali hanno sperimentato la pena di vivere[1]

 

IV sec. a. C., le cose andavano come sono sempre andate per l’uomo, un po’ bene e un po’ male, e, come oggi Guédiguian, anche allora ci fu chi non perse tutte le speranze in quella imprevedibile ma indistruttibile capacità dell’uomo di non essere sempre lupus per l’altro uomo.

Con Menandro ricordiamo Victor Hugo di Les Pauvres Gens, fonte di libera ispirazione per questo film e Jean Jaurés, più volte nominato nel corso della storia e il suo Discorso ai giovani, Albi, 1903:

“ Il coraggio è essere al contempo, quale che sia il proprio mestiere, medico e filosofo.

 Il coraggio è capire la propria vita, precisarla, approfondirla, stabilirla e accordarla però alla vita generale.Il coraggio è controllare con precisione la propria macchina per tessere, affinché nessun filo si rompa, e preparare al tempo stesso un ordine sociale più ampio e più fraterno in cui quella macchina sarà la serva comune dei lavoratori liberi …Il coraggio è dominare i propri errori, soffrirne ma senza venirne schiacciati e proseguire il proprio cammino.Il coraggio è amare la vita e guardare la morte con occhi tranquilli; è ricercare l’ideale e capire il reale; è agire e votarsi a grandi cause senza sapere quale ricompensa l’universo profondo darà al nostro sforzo, né se vi sarà mai alcuna ricompensa.Il coraggio è cercare la verità e dirla; è non subire la legge della menzogna trionfante che passa, non consentire alla nostra anima, alla nostra bocca e alle nostre mani di farsi l’eco degli stupidi applausi e dei fischi esaltati.”

Una storia di coraggio, dunque, quella che questo armeno di Marsiglia mette in scena fra il porto e le case del suo quartiere, l’Estaque, usando la pellicola piuttosto che il digitale per restituire all’ambiente il suo luminoso colore mediterraneo, scegliendo per titolo Le nevi del Kilimangiaro dalla canzone di Pascal Danel che, negli anni della gioventù spensierata, sentì a concerto e gli piacque tanto, e affidando ad attori di grande abilità interpretativa, Jean Pierre Darroussin e Ariane Ascaride, la parte di una coppia che, dopo trent’anni di matrimonio, continua ad amarsi, intendendo con questo quella solidale comunione d’intenti e affabile capacità di convivenza che li aiuta a superare le secche della vita.

Con abile tocco Guédiguian manovra i registri molteplici di una vicenda in cui, come nella vita, il tragico s’intreccia al comico, il sublime al miserando, il coraggio alla paura, e ne risulta quel tono medio in cui la commedia francese sempre eccelle.

Dramma proletario di licenziamenti, disagio giovanile, scontro generazionale, infanzia abbandonata, riesce ad evitare ideologismi e facile buonismo, orchestra la narrazione senza appesantimenti, dosa con giusto equilbrio momenti di tensione e altri di lirico abbandono al piacere delle cose semplici, spiazza al momento giusto e ci regala una prospettiva non utopistica ma, come accade in  Hugo, quella di ridare al popolo “dignità e gloria”.

Michel e Marie-Claire potevano fare un bel viaggetto in Africa, appunto fino alle falde del Kilimangiaro, guardando in alto le sue nevi e facendo safari nella savana.

Soldi per il viaggio e biglietto sono il bel regalo per i trent’anni di matrimonio di figli, nipoti, amici, e tutti i licenziati estratti a sorte, giorni prima, dal cantiere navale.

Fra questi è stato licenziato anche Michel, poteva restare in quanto rappresentante sindacale, non l’ha fatto, ha inserito nell’urna il suo nome perché, a volte succede, ci sono persone oneste che credono nelle idee “per cui si muore”.

Ma se per Michel è solo un prepensionamento che, al massimo, lo costringe a svogliati lavoretti casalinghi e ad un po’ di nostalgia per un passato di lotte e bei discorsi nelle assemblee, per Christophe, giovane con due fratellini a carico, padre ignoto e madre per i fatti suoi da un pezzo, è ben altra storia e trovare altro lavoro di questi tempi.

Non resta che quello che un tempo si chiamava “esproprio proletario”, ma anche lì le cose sono cambiate e l’assalto alla famigliola pronta per il viaggio in Africa per farsi dare soldi, carte di credito e (il solito errore fatale), un giornalino di fumetti che svelerà tutto, bene, quell’assalto si configura, agli occhi neutrali della Legge, come rapina a mano armata (che la pistola sia giocattolo non fa differenza).

Emergono, a questo punto, tutte le contraddizioni: Christophe è antipatico quanto basta per evitare di farne un’icona della gioventù bruciata o disperata, Michel è un dolcissimo pre-pensionato che non esita a dare uno sberlone a Christophe, salvo poi dargli ragione, i discorsi del ragazzo sono amari, un tantino cinici, ma molto veri, e la coscienza civile e politica di Michel è sempre alta.

Ma la figura più bella è lei, la piccola Marie-Claire dal viso di india, solida, serena, risolutrice.

A lei tocca sanare le contraddizioni e trovare la strada per risolvere qualche problema, seppur temporaneamente.

Con un sorriso, da un terrazzo affacciato sul vicolo con in fondo il mare, non da una tribuna né da una barricata,  si conclude che la scalata alle nevi del Kilimangiaro e il safari in Tanzania si possono fare anche restando a casa propria, belve ce n’è ovunque e quel po’ di swahili imparato da Michel serve a dire “ti amo” alla cara mogliettina.

 

[1] Dario Del Corno, Letteratura Greca, ed.Principato, 1995, p. 428

 

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