Regia di Pierre Schöller vedi scheda film
Deve avere amato Il divo, Pierre Schoeller. Vedi Il ministro. L’esercizio dello Stato e te lo dicono i movimenti di macchina, la composizione del quadro, l’uso di una colonna sonora che fa attrito stordente e traghetta il racconto in territori stranianti. Te lo dice il tono, che pigia e plagia il realismo nei pressi della satira e di un beffardo, inquietante carnevale. Ma se il film di Paolo Sorrentino era la rappresentazione di un uomo di Potere secondo una vox populi grottesca, se di Giulio Andreotti (il divo, per l’appunto) non raccontava la cronaca ma il mito, negoziato e condiviso dal popolo italiano, Il ministro è l’esatto opposto. È - hanno ragione i “Cahiers du Cinéma”, che pure l’hanno stroncato - un film sul punto di vista del Potere. Nei suoi frammenti cocainici, che esordiscono occhieggiando alle fantasie erotiche e massoniche di Jean-Claude Brisseau, c’è la scissione di un uomo politico: tra le luci della scena e oscuri retroscena, gli appetiti del fisico e la ragione di Stato, l’opinione pubblica e il vizio privato. Privatizzare o meno le stazioni ferroviarie è il suo cruccio attuale, le conseguenze della sua scelta ciò che lo preoccupano, gli ideali gadget d’occasione. Usa e getta. È la storia di un equilibrista, Il ministro. L’esercizio dello Stato, che corre veloce e sbanda (ma non cade) sul filo teso tra possibili riforme e fattarelli, sentimenti e lotta per la sopravvivenza, gestione dell’attualità e lascito della propria immagine alla Storia. E i brandelli di cui il film è composto - dalla parodia della sitcom a stralci di tg, dal thrilling dei fatti all’astrazione allucinata della fiaba - non costruiscono un enigma, ma il fatto certo, certissimo di un’esperienza nevrotica e schizoide, la tragedia di un uomo ridicolo, frantumato, spossessato. Un burattino attraverso cui l’entità astratta del Potere si manifesta, il suo precipitato tangibile, sgraziato. Inetto e (perciò) adeguato. Così, se il vero protagonista è la triste e implacabile meccanica della politica, le scene sono di geometrica e sarcastica precisione, recitate con toni che immergono sfumature realistiche in un dramma dissociato, stilizzato, caricaturale. Disumano. 3 premi César: miglior attore non protagonista (Michel Blanc), sonoro e sceneggiatura originale.
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