Regia di Pierre Schöller vedi scheda film
Se Il Divo Paolo Sorrentino era la sublimazione del Potere in un’astratta figura mefistofelica che aveva in Giulio Andreotti il physique du rôle perfetto per astrarsi dalla realtà e farsi universale feticcio delle sconcerie di palazzo, il Ministro francese è un bigio e didascalico esercizio di contemporaneità. Questo per chiarire la questione con chi aveva inopinatamente paragonato questo film al capolavoro di Sorrentino. Si tratta in realtà di un radiodramma verboso impostato come un thriller di interni che ad una spastica ricerca della verosimiglianza rimpallata tra infinite riunioni nelle stanze del potere aggiunge una sgradita nota retorica di disgusto programmato. Esige il riconoscimento di autorialità, Il Ministro, con la stessa arroganza e presunzione dei Ministri del film che fanno il brutto e cattivo tempo manovrando il popolo bue dipendente dai media ma non passa nessuno dei temi imposti. E non passa neppure l’utilizzo di un paio di azzeccate scene surreali, su tutte quella iniziale, bellissima e unica, della donna completamente nuda, moglie del Ministro che si infila nella gola di un gigantesco alligatore. Ciò che era il Caimano di Moretti qui l’alligatore si divora tutto, o meglio si divora la vita intera, in un sol boccone. Parallelamente alle vicende ministeriali, scorre la vita di Bertrand Saint Jean, Ministro dei Trasporti, protagonista della vicenda interpretato da Olivier Gourmet , ritratto nella solitudine dell’uomo di potere sempre combattuto tra dovere e opportunità e schiantato dalle responsabilità della gestione di un gravissimo incidente di un pullman di studenti sulle Ardenne. Non funziona neppure questo aspetto per l’insipida caratterizzazione del personaggio difetto che coglie tutti i partecipanti al film. Ruoli e facce non incidono, a parte Michel Blanc – giustamente premiato come Miglior attore non protagonista ai Les César du Cinéma (2012) - grandissimo attore che interpreta il capo di gabinetto del Ministro, sottratto e dolente , mai sopra le righe è l’unico che nobilita il ruolo assegnatogli.
Il Ministro - L’esercizio dello stato è un film discontinuo, i cui pochi momenti buoni vengono sommersi dallo stucchevole tra gli stucchi delle stanze ove il potere si perpetra, si re-impasta in molteplici temi come i si rimpastano i governi per ottenere i voti necessari a mantenere la poltrona, ammicca allo spettatore e chiede di immedesimarsi nello schifo ma senza una rielaborazione astratta del pattume istituzionale nel quale ogni europeo contemporaneo galleggia, aspettandosi da un momento all’altro l’onda anomala che sommerga tutto. Schiantano del tutto l’operazione i molteplici finali, che strascicano la vicenda fino allo sfinimento. La catarsi raggiunta con l’incidente con l’auto blu del Ministro dei Trasporti i viaggio su una un’autostrada deserta e in dissesto che avrebbe dovuto inaugurare da lì a poco sarebbe già abbastanza. La morte del conducente, ex disoccupato e assunto in un delirante programma di reinserimento sociale dei reietti aggiunge retorica. Ma non si ferma. Da qui in poi parte un altro film della durata di circa mezz’ora con tutte le conseguenze del sinistro occorso al Ministro. Mezz’ora inutile lenta e spezzata a sua volta in semi finali estenuanti. Didascalico cinema tombale che replica una realtà nota o quanto meno sospettata e che ratifica l’ignoranza del popolino elettore esattamente quanto lo spettatorino pagante. Questo è il cinema francese quando perde agilità e ironia.
Questo film è l’esatto opposto de Il Divo di Sorrentino. Lì il potere logora chi non ce l’ha, qui il potere logora proprio tutti, anche gli spettatori al cinema.
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