Regia di Bruno Dumont vedi scheda film
Fuorché Satana.
Non fuori, non oltre. Tutto tranne Satana. Ma perché? Dov'è Satana? Ovunque, altrove. Ma non dentro. Un messaggio molto semplice parte con intensità sempre crescente attraversando tutti gli altri film di Dumont e arriva, limpido e violento in questo: Dio non è fuori ma è dentro, e per vederlo bisogna spostare lo sguardo.
Hors Satan chiude dunque il cerchio del percorso fatto di film di Dumont, il percorso cominciato con La vie de Jésus. Ma non è il film finale: uso la parola cerchio intenzionalmente. Dopo di lui, ossia accanto a lui in questo percorso circolare, c'è Hadewijch.
Come He e She di Antichrist, in questo film Le Gars e Elle (Il Ragazzo e Lei, senza altro nome) percorrono una strada segnata da tappe precise verso una maturazione spirituale, una strada in cui ognuno ha una posizione specifica e i cui elementi sono nettamente delineati. A differenza di ogni altro film di Dumont, Hors Satan è il vero film estremo, violento, puro e grezzo. Limpido perché esposto ma difficile perché non spiegato, senza alcuna delle concessioni attuate negli altri film. Fra tutti, l'allegoria più potente, ma proprio per questo quella più complicata da smontare e ricostruire.
Dio è dentro ma per vederlo bisogna spostare lo sguardo.
Come costringere lo spettatore, in quanto spettatore e in quanto essere umano, a farlo? A spostare lo sguardo? Asciugando al limite estremo. Togliendogli ogni strumento, ogni certezza, ogni appiglio e ogni aiuto. Sottraendogli definitivamente gli ultimi elementi di semplificazione della storia e del linguaggio. E consegnandogli un rebus che è tanto più semplice quanto più l'occhio di chi guarda si rende conto che non deve vagare impazzito alla ricerca di una soluzione, ma rimanere esattamente dov'è, con la soluzione in bella mostra, come in uno stereogramma simbolico in cui la causa dell'incapacità di vedere è sempre nell'occhio di chi guarda, e mai nell'oggetto dello sguardo.
Dumont "disinfetta" la narrazione utilizzando elementi che dovrebbero essere rassicuranti ma privandoli del dato fisico, concreto, già noto allo spettatore. Le Fiandre? Non sono più il posto di Flandres. Non sono assolutamente un posto: ma un elemento. Se fossero un luogo come negli altri film diventerebbero anche qui qualcosa di assimilabile a un personaggio, complice degli attori nel tentativo di raccontare una storia e complice dei personaggi nello scorrere della loro vita. Se le Fiandre qui fossero luogo Dumont asseconderebbe il pensiero istintivo dello spettatore ("questi due camminano, entrano tra gli alberi, faranno come tutti gli altri e si stenderanno a scopare senza passione?") e darebbe ad ogni singola radura quella funzione di comprimario, carne della stessa carne grezza di cui sono fatti tutti i personaggi con tutti i loro gelidi amplessi consumati in mezzo alla natura. Ma qui le Fiandre non sono luogo, o meglio luogo umanizzato: non è possibile sentirci "casa", quand'anche per casa si volesse intendere qualcosa di squallido e certamente non caldo ("casa" per i personaggi, non certo per lo spettatore). Qui le Fiandre non sono fuse con i personaggi che le attraversano. Sono manifestazioni, sono altro. Sono appunto prosciugate e sterilizzate per assurgere allo status di elemento del percorso di cui sopra, al contempo destinatario della preghiera di lui e lei e mittente di segnali nei più disparati modi. Le Fiandre sono il terzo personaggio.
Anche gli altri elementi apparentemente comuni agli altri film hanno in realtà qui altri ruoli. La violenza, il sesso.
Uomo, donna, fuoco. Uomo, donna, natura. Uomo, donna, azione. Ci sono vari eventi violenti, con esiti diversi. In ogni occasione, lo spettatore è portato a pensare che l'esito sia la morte, ma in realtà è così in un unico caso, il primo. In presenza dell'unica vera morte, uomo e donna si guardano, girano lo sguardo in direzione dell'altro, ma non è l'altro che vedono. Sembrano vedere altro. Si scrutano come riconoscendo qualcosa che prima dell'omicidio era presente ma invisibile. Lo vedono nell'altro o lo riconoscono in sé?
Elementi a segnare il percorso, dunque:
L'azione è anche l'unico modo perché ci sia un avanzamento nel percorso: una trasformazione graduale attraverso stadi di un rito di purificazione. Non la levitazione di un momento di Pharaon (L'humanité), non l'impossibile consapevolezza della ragazza sugli eventi avvenuti a distanza di km in guerra (Flandres), evento che potrebbe in qualche modo sfiorare la normalità. Ma qualcosa che va oltre, fuori, qualcosa che appunto sfida la prospettiva da cui affrontare il film. Il Ragazzo, che vive in fondo a una valle di sabbia e arbusti, con una finta casa fatta di un pezzo di muro, un giaciglio e un fuoco, esorcizza una bambina. Non ci sono scappatoie e non vengono fornite spiegazioni. Lui è uno che può e questo deve bastare a dare altri elementi su di lui.
Ma si è detto che Hors Satan è un'allegoria. Ebbene, se la difficoltà è sicuramente sistemare tutti i pezzi al loro posto fino all'ultimo particolare, senza dubbio il senso generale è chiaro.
Lui e lei insieme compongono l'Uomo: il maschile e il femminile ne sono le facce, corpo e anima riuniti davanti al fuoco ne sono la sintetizzazione estrema. E lo scopo di entrambi è la ricerca dell'Altro, a cui di continuo si rivolgono con lo sguardo e col pensiero quando "pregano". Ma le fasi da attraversare per arrivarci sono molte e difficili. A partire dalla prima, l'uccisione del padre (che si intuisce le abbia fatto del male, a lungo), che dà definitivamente il via al percorso (d'altronde, il film comincia con Lui che cammina sulla via, e termina nello stesso modo, con le dovute differenze).
La difficoltà consiste nel grado di consapevolezza e nel dolore che volta per volta le azioni generano a lei. Nell'allegoria, il corpo non ha problemi a intraprendere qualsiasi azione per quanto violenta e definitiva, mentre l'anima può entrare in crisi di fronte a determinate prove che percepisce come dolorose o difficili da affrontare. E così, l'assassinio del padre (che aveva un senso anche per l'anima) è percepito come necessario e attuato senza ripensamenti, l'uccisione casuale (a mo' di sacrificio) della cerva diventa motivo di turbamento e di rifiuto, di fronte a un corpo inerme, inerme perché sente solo la materialità dell'atto, e se ne fa mero esecutore.
Corpo e anima sono ancora separati. Due parti della stessa entità, ma separati, contrapposti e in conflitto. Non in armonia. Quando parlavo della circolarità e del fatto che questo film venisse prima di Hadewijch, mi riferivo a questo. Il percorso che questo film rappresenta è propedeutico a quello di Céline. In Céline corpo e anima sono puri, fusi e in pace: non c'è conflitto in lei. È pronta per arrivare oltre, a un Altro che le crea turbamento e con cui non ha capito come comunicare, non ancora. La sua è l'ultima fase e ci arriva con tutta se stessa. Dio è dentro di lei ma le manca quello spostamento dello sguardo necessario a vederlo, e dunque le viene mandato nelle sembianze di chi la salva dal gesto estremo, le viene mandato facendolo diventare altro da lei, solo per dimostrarle che è dentro di lei.
In Hors Satan c'è la preparazione a questa fase. C'è la ricomposizione del tuttuno che vediamo scomposto dall'inizio del film in un corpo e un'anima davanti a un fuoco. La cerva è solo la prima delle prove da superare, l'attraversamento delle acque quella che definitivamente la vede prendere consapevolezza di sé (e per quello il solo riuscire a superare la prova fa spegnere il fuoco che devasta l'Altro, lì, fuori, lontano ma vicino). La morte con resurrezione sarà la prova definitiva. Ed è Lui / Corpo ad indirizzare e determinare ogni azione, ogni prova. Lui con il fucile, lui la spinge sull'acqua, lui la avvolge nel bianco (annullandone il nero) e le dà di nuovo la vita. Il distacco che si determina tra di loro con la partenza di lui è solo apparente. Lei non è più il femminile nero dell'entità unica, ma un'anima (bianca) purificata dopo la prova della morte. Lui ha ammansito la bestia (il cane) che prima alla sola vista di loro due insieme li aveva praticamente assaliti con la sua furia.
I due momenti chiave sono quindi le due prove cruciali necessarie alla trasformazione. In entrambe è presente l'acqua.
Nella prima, la premessa è il fuoco che si scatena apparentemente dal nulla. Ma il collegamento fra causa ed effetto è chiaro: l'incendio avviene immediatamente dopo l'esorcismo. Io sono il fuoco, io sono il pericolo, io sono chi ti sta minacciando. Non mi vuoi dentro di te, mi cacci perfino da chi ti è nelle immediate vicinanze. Non mi permetti di scalfirti, non riesco a turbarti, non riesco ad avvicinarti né a indurti in tentazione o spaventarti. Mi cacci, annulli (=esorcizzi) la mia presenza, ebbene trovo un altro modo per lambire il tuo spazio, per provare ad avvicinarmi. Circondo il tuo spazio fisico, insinuo la mia presenza attorno e accanto a ciò a cui ti rivolgi quotidianamente. Il fuoco si materializza lungo tutto l'orizzonte visibile. Il mezzo per dimostrare che non è forte quanto crede è superare se stessi: compiere ciò che si teme, di cui si ha paura. Nell'istante in cui Lei, pur temendo di cadere nell'acqua, riesce ad attraversarla, il fuoco è scomparso. Nell'istante in cui l'azione dimostra la sua potenza, la potenza della sua volontà e anche il suo potere, il male che si insinua smette di avere il suo, di potere.
Il secondo momento è il secondo esorcismo. Stavolta è lui da solo ad affrontare una prova, ma non potrebbe essere altrimenti. La viandante è il suo specchio e arriva nel momento in cui Lei /Anima ha superato autonomamente la prova di volontà. Una volta tirata fuori la forza di Lei con la prova dell'acqua, il passaggio successivo appartiene a Lui. L'unico atto sessuale consumato nel film ha scopo di esorcismo. Ancora una volta lo spettatore è ingannato e ritiene che sia avvenuto un omicidio: ma la viandante si alza, striscia, si dirige o meglio cerca disperatamente (mi viene da dire is craving, brama, implora, desidera) l'acqua per rinascere; il battesimo la restituisce a una nuova vita con un atto che è persino suggellato dal simbolo tatuato sul suo coccige, intravisto attraverso l'acqua ma sicuramente non casuale (lo è forse qualcosa, in Dumont?): l'ankh egizio, simbolo di vita.
Ed è infine dopo questa prova che si attuerà la separazione definitiva tra Lui e Lei, separazione puramente preparatoria. L'atto di Lei / Anima di spingersi fuori casa, nel buio, e venire attirata dal nero della notte le sarà fatale. Ma hanno davvero preso l'assassino? Assolutamente no. Dopo una prova di Lei da sola (l'acqua) e di Lui da solo (la viandante) l'ultima prova sarà quella che li vedrà agire insieme. Non l'assassino, ma Lui stesso è responsabile della morte di Lei, per l'unico semplice motivo che solo uccidendo Lei come parte di sé può finalmente determinarne anche la resurrezione. Lei purificata torna a vivere, lui pacificato nel suo lato bestiale può riprendere a incamminarsi. Dopo l'ultima prova di morte e resurrezione, arriverà Hadewijch nella sua ricerca del contatto con l'Altro.
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