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Hors Satan

Regia di Bruno Dumont vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Hors Satan

di ed wood
8 stelle

Dopo l'eccezionale "Hadewijch", Dumont prosegue la sua ricerca in direzione di un cinema impervio, allusivo, laconico sulla scia del maestro Bresson. Anche qui, come in altre opere dell'autore, troviamo esposti temi come l'esplorazione del paesaggio e l'interrogazione sulla metafisica del Male. Lo scenario è quasi identico a quello del suo esordio, quel "L'età inquieta" che 15 anni fa diede da pensare a chi si aspettava un gemello dei Dardenne. Siamo ancora, molto probabilmente, nella Francia del Nord, in un paesello di campagna. Quattro case, poche persone, tanta natura selvaggia (fateci caso: è un'ambientazione molto simile a quella di diversi film di Bresson). La scelta del set è fondamentale per almeno due motivi: primo, perchè la vita in campagna, con la virtuale assenza di tutti gli orpelli e le complicazioni della "vita moderna", permette a Dumont di concentrarsi sui temi importanti, sulle persone, i gesti, gli sguardi, colti in tutta la loro essenziale purezza; secondo, perchè il rapporto fra uomo e ambiente naturale può così essere sviscerato in tutta la sua complessità teorica e in tutto il suo fascino estetico (e il formato panoramico con cui "Hors Satan" è stato girato permette al regista di cogliere una grande varietà di notazioni paesaggistiche). A differenza di Bresson, che non badava all'espressività delle singole inquadrature quanto a quella scaturita dalla giustapposizione di esse attraverso il montaggio, nonchè dal movimento di macchina, il cinema di Dumont vanta immagini di innegabile grazia pittorica, non prive di tentazioni simboliste. Dumont non sbaglia una inquadratura: queste vivono di luce propria, tanto riescono a cogliere la bellezza ambigua insita in ogni volto e in ogni panorama, negli occhi delle persone come in un cielo nuvoloso. La cifra stilistica dominante è la soggettiva in controcampo: i giovani protagonisti dell'universo dumontiano guardano, contemplano il paesaggio. E noi li vediamo guardare. Ma se questo può suggerire l'idea di una "separazione", o di un corto-circuito, fra uomo e ambiente circostante, questa è prontamente smentita dai numerosi (e stupendi: un plauso al direttore della fotografia) campi lunghi, in cui gli umani diventano piccole figure assorbite dalla natura. Questa estetica dell'assorbimento o, a parti invertite, dell'immersione è evidenziata da diversi espedienti. Uno di questi è l'uso geniale del sonoro (altro retaggio bressoniano): anche quando i personaggi sono dispersi in un campo lunghissimo, sentiamo vicino il loro respiro. Un altro si rinviene nelle frequenti sequenze in cui i ragazzi deviano il loro tragitto da una strada verso la misteriosa e inquietante boscaglia. Si ha proprio l'idea dello scivolamento, naturale ed automatico, da una "retta via" (o presunta tale) verso un cieco ed inevitable abbandono alle forze del Male. Un Male che, in questo film, si incarna in un ragazzo oppure si confonde nella natura (se non nell'aria stessa: vedi alcuni dettagli, come un proiettile vagante  o un accetta che feriscono qualcosa che sta fuori dall'inquadratura) oppure si maschera da presenza salvifica (la devozione della madre della bambina malata) oppure dirotta su altre persone (l'uomo col cane, "assassino" della ragazza) i suoi intenti diabolici. Un Diavolo che tutto può, anche i miracoli. Un Diavolo che prega. Un Diavolo-asceta. Dumont ribalta gli esiti bressoniani sulla Grazia, portandoli alle estreme conseguenze: la Grazia, in Dumont, è concessa dal Diavolo. Senza niente in cambio: nemmeno il piacere sessuale. Se c'è una Grazia, è quella che la ragazza chiede, scorge e trova nelle gesta dell'amico, "il Diavolo probabilmente". "Al di fuori di Satana" non c'è niente. Qui si va oltre il concetto di ambiguità fra Bene e Male, che resta comunque il punto di partenza del discorso dumontiano. Film di radicale pessimismo, "Hors Satan" è un'opera più complessa e meno riuscita di "Hadewijch", in ogni caso molto diversa e molto più aderente al modello bressoniano. Alcune parti non convincono del tutto: l'episodio della viandante epilettica; la figura della guardia che tenta di sedurre la ragazza; alcuni vezzi come la riproposizione un po' gratuita di un trademark sia dumontiano sia bressoniano, ossia le motociclette. Resta però un'opera di grande spessore sia formale sia tematico: mentre osserviamo la bellezza perversa di una natura magnetica ed ammaliante, cerchiamo anche noi di dare una forma al Male, di localizzarlo, di isolarlo. Invano. 

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