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E ora dove andiamo?

Regia di Nadine Labaki vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su E ora dove andiamo?

di laulilla
7 stelle

Un film del 2011, forse non un capolavoro ma un 'opera che, quindici anni fa, raccontando la realtà amara di un Libano senza pace, sembra prefigurare le immani tragedie dei nostri giorni...

La regista Nadine Labaki che, dopo Caramel era al suo secondo lungometraggio (2011), racconta la vita difficile delle donne libanesi che più degli uomini, soffrivano – e continuano a soffrire –  le incertezze della sopravvivenza quotidiana, poiché la pace e la concordia erano allora come oggi un lontano miraggio: la violenza spadroneggiava ovunque, persino nel loro povero villaggio che non avrebbe dovuto essere attraversato da odi e rancori, visto che persino il prete cristiano e l’Imam si adoperavano per allontanare vendette e divisioni.

 

Le donne, che danno la la vita, cercano sempre di salvaguardarla: i figli per tutte loro, cristiane o musulmane, sono un bene prezioso che non può essere sacrificato in nome di astratti e incomprensibili principi, che, affermando la superiorità di uno o di un altro credo, non producono se non una strisciante e continua guerra di religione, come se la pace non fosse il bene supremo per tutti.

Ciascuna donna si ingegnava perciò per convincere figli, padri e mariti a mediare, attutire i contrasti, arrivando a soffrire in silenzio, pur di evitare tensioni e malintesi forieri di conseguenze drammatiche. Purtroppo, non sempre era sufficiente la buona volontà: le notizie della violenza generale arrivavano dallo scassatissimo unico televisore del villaggio: il male  colpiva a caso buoni o cattivi, mettendo a rischio l’equilibrio faticosamente raggiunto, che aveva momentaneamente allentato le inquietanti minacce.

 

Il film si apre e si conclude con una scena funebre: all’inizio le donne, cristiane e musulmane, vanno al cimitero camminando in perfetta sintonia, con un passo che sembra diventare una danza. Si dividono successivamente, alla ricerca delle tombe che separano le diverse appartenenze religiose dei defunti; la scena che conclude il film – a pacificazione  provvisoriamente raggiunta – chiarisce che i dubbi e le esitazioni sul da farsi, cui si riferisce il titolo del film, si insinua in loro, che nella memoria del passato si sono riconosciute e hanno lasciato una parte di sé.

 

Bella, nella sua terribile semplicità, l’invettiva contro le religioni rivolta alla statuina della Madonna, che piange finte lacrime, dalla madre che ha perso il figlio, vera Mater Dolorosa, senza consolazione possibile.

Il sorriso e la grazia commossa di Nadine Labaki, la regista che ha riservato a sé una parte importante fra le attrici protagoniste – l’aveva fatto anche nel precedente Caramel - accompagnano la narrazione del film che procede con frequenti e improvvisi cambi del registro narrativo e con qualche bella citazione da Almodovar (Volver Donne sull’orlo di una crisi di nervi)



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