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Hanezu

Regia di Naomi Kawase vedi scheda film

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La recensione su Hanezu

di OGM
8 stelle

Hanezu è un’antica parola giapponese, che indica una particolare gradazione di rosso. È la tinta del fuoco, dell’anima che brucia per una passione impossibile. È la fiamma che incendia un cuore che soffre. Naomi Kawase la trasforma in un liquido color sangue, che si ricava dai fiori, e che  la giovane Kayoko usa per tingere di rosa i suoi tessuti. È un’artigiana, che vive di cose semplici. Insieme al marito Tetsuya ama cibarsi dei prodotti della terra, secondo l’antica tradizione della regione in cui abitano. Si tratta della prefettura di Nara, un territorio  pieno di storia, costellato di siti archeologici, tra cui quello dell’antica capitale Fujiwara: qui gli scavi procedono a rilento, tanto che la città risulta ancora sepolta al novanta per cento. In questo film quel luogo coperto di sassi e sabbia diviene il simbolo del passato circondato dal mistero: è il tempo degli dei, a cui risalgono le verità eterne, come quella dell’amore che si trasforma in guerra. Il monte Kagu amava il monte Unebi. Il Miminashi era il suo rivale. Da sempre gli uomini si contendono le donne. Si combattono per non perderle. Kayoko ha un amante; è Takumi, uno scultore che abita in una casa isolata su una collina, a diretto contatto con la natura. Mentre il suo scalpello colpisce il legno, sopra la sua testa, un uccello costruisce il suo nido. Nell’appartamento di Kayoko, invece, quando il marito è fuori per lavoro, non c’è nient’altro che la solitudine ed un canarino in gabbia. Bisogna uscire, allora, per incontrare lui: occorre comunque cercare di mantenere vivo un rapporto senza futuro, perché così vuole lo spirito che alberga nella carne dominando il cosmo. L’uomo è piccolo nella storia dell’universo, che in un attimo ne cancella la memoria o rende assurdi i suoi sentimenti più profondi. Degli antenati si è perso il ricordo, a volte persino un genitore può ridursi ad un fantasma che dona la vita per scomparire subito dopo: è il caso del nonno di Takumi, morto in guerra a soli venticinque anni, quando suo figlio era ancora piccolo. Ed anche il padre di Kayoko è ormai una figura dimenticata, che ha costruito un attrezzo ginnico in giardino, ma non si sa più perché. Ogni legame invecchia e si immerge nel buio, come quei due anelli di cedro antico scolpiti da Takumi: sono incatenati l’uno all’altro, in maniera apparentemente indissolubile, ma col tempo si coprono di una patina nera. Gli anni sono passati anche per Yotchan, che da bambino giocava a raccogliere le pietre, ed ora è un uomo anziano, che ha dedicato un’intera esistenza a cercare sotterranei tesori. L’acqua scorre, nei letti dei torrenti e nella pioggia che cade, ma tutto rimane come prima, mentre ad avanzare è soltanto il nulla. Nel villaggio non nascono più molti bambini, e non si celebrano più le feste di una volta. I frutti dell’amore muoiono, quando si accorgono che i progetti per cui sono nati sono irrealizzabili, perché in contrasto con le leggi del mondo. Ad ucciderli è la mancanza di libertà, che, senza alcuna pietà, distrugge i sogni più importanti e più veri. Solo le rondini, che volano in cielo, possono continuare a procreare. Chi tocca il suolo perisce, e subito dopo vi affonda. Le anime, che lottano nel fango, non riescono a risollevarsi dal pantano. I millenni non bastano a riportarle in superficie. Rimangono  là sotto all’infinito, anonime e nascoste.  Questo film incide la crosta dell’oblio con la punta di quella lama grezza che è la frastagliata poesia dell’improvvisazione. La riflessione su ciò che è stato è appena all’inizio; è solo un graffio, lasciato dall’ultimo frammento di una leggenda, che parla una lingua ormai tramontata. Naomi Kawase prende spunto da un romanzo di Masako Bando per farne un film leggero, fugace ed informe come un soffio di vento che scompiglia le cime degli alberi. Il suo suono è un fruscio privo di melodia; non è stonato, è solo incompiuto, come il cammino, smarrito nell’ombra, che ricongiunge le imperfette inquietudini dell’oggi alle remote origini del mondo.

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