Regia di Michel Hazanavicius vedi scheda film
Il problema principale del film The Artist, per chi scrive, non risiede tanto nelle palesi aporie linguistiche, sintattiche e stilistiche proposte dal film – dato che sicuramente qualcuno avrà già sventolato l’abusata bandiera del postmodernismo. Piuttosto, la sensazione di personale fastidio nasce dall’approccio con cui il film si rivolge al cinema muto. Il film, per la sua intera durata, cerca – riuscendovi, viste le critiche pressoché unanimi di plauso al film – di “strappare” allo spettatore un sentimento distorto nei confronti del cinema del passato, presentato come qualcosa di “innocente”, con cui è necessario affiancarsi con altrettanta (illusoria) innocenza. Il patetismo pseudo-nostalgico di The Artist, che guarda al cinema muto come qualcosa di semplice – anzi, semplicistico - e immotivatamente verginale, è, per chi scrive, il danno maggiore del film.
Riscrivendo – con dozzinale tecnica, e per lo più errata, ma, come già scritto, non è questo il punto – un periodo del cinema per chi, con molta probabilità non ne ha la conoscenza (e la coscienza), The Artist dà un “assestamento” di irritante “carineria” [passatemi il termine], per un cinema che, di “carino”, aveva ben poco.
The Artist riduce clamorosamente ogni situazione vissuta dal protagonista, in divertenti siparietti, dove tutto si risolve semplicisticamente: e non (solo) per una questione di leggerezza, ma, appunto, per darne un’errata lettura paternalistica e patetica del cinema muto stesso. Sbaglia chi considera "innocente” o inconsapevole (o, appunto, «carino») il cinema muto: Kenneth Anger ce ne ha descritti gli scabrosi retroscena nel suo Hollywood Babilonia. In realtà, basta poi rivolgersi ai film stessi, ai suoi tormentati registi, per smentire la distorta visione di Hazanavicius: era “innocente” il nichilismo cosmico di Stroheim? Era “carina” la decadenza figurativa e morale di Murnau? Era “verginale” il cinema eccessivo, erotico e brutale di De Mille?
The Artist non solo deforma il passato (ma questa non è la sua colpa): il problema è come lo semplicizza, con fare fittizio e disonesto. E, come scritto in apertura, non mi sono soffermato sulla quantità di strafalcioni sintattici del film, che sciommiottano il cinema muto, come il montaggio alternato, o lo pseudo-espressionismo tedesco. Mi è bastato unicamente il delirante utilizzo del leitmotiv de La donna che visse due volte per farmi, personalmente, accapponare la pelle.
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