Regia di Michel Hazanavicius vedi scheda film
Un omaggio al cinema delle origini, alla sua naturale predisposizione all’intrattenimento. L’inizio di The artist, film muto che narra il passaggio al sonoro con relativo tramonto di uno dei suoi divi rappresenta bene il meccanismo dentro cui si realizza il rito collettivo della visione, attraverso l’identificazione di brevi segmenti narrativi presi dalla realtà, si stimola e si affascina il sogno, la mente, lo sguardo. Se però il congegno è stato brevettato con successo agli inizi del secolo scorso sullo spettatore ancora dotato di una spontanea ingenuità e di un’immateriale e fanciullesco senso della sorpresa c’è da chiedersi cosa voglia rappresentare The artist negli anni duemila. Già ben più significativamente lo stesso tema è stato trattato da Chaplin, se vogliamo rivoluzionando e introducendo concetti del tutto nuovi per l’epoca, Tempi moderni è ancora muto dieci anni dopo l’avvento del sonoro, più recentemente fra vari tentativi ricordiamo Juha di Kaurismaki anche se il risultato è stato inferiore alle attese, che ha lavorato però su contenuti moderni. Sul terreno opposto cioè solo testo e niente immagini menzionerei Blue di D.Jarman, dove la mancanza totale di un elemento significante che compone il variegato linguaggio del cinema, viene compensato da un testo così accorato ed emozionante che da solo evoca un susseguirsi di intuizioni visive. In The artist resta apprezzabile il tentativo di smontare una parte del meccanismo, di mostrarne l’incompletezza, ma poi cosa rimane allo smaliziato spettatore se non gli si offre un piatto visivo che integri, che rimpolpi tale mancanza? The artist sembra una semplice ricostruzione del cinema che fu, un riuscito esercizio di maniera, con qualche colpo ad effetto, la giusta dose per commuovere e divertire. Di certo suscita un elementare stupore che non una qualche elaborazione mentale appena articolata. La cosa più brutta di un film è definirlo “carino,” e The artist lo è, solleticando una massa abbastanza ampia di spettatori votati alla passività, abituati a muovere la testa in segno di approvazione, appunto per “carineria,” o magari perché gli sta tremando il terreno sotto i piedi e loro pensano di essersi eccitati davanti alla grande novità dell’anno. Dunque rimane un lavoro fine a se stesso, senza conseguenze che non determinerà tentativi di emulazione, non sarà il capofila di un movimento, il regista Hazanavicius non si trasformerà almeno per questo film in un talento, il protagonista maschile Dujardin simpaticamente canagliesco e gigione non si ricorderà per sviluppare personalità intriganti. La moglie del regista, Berenice Bejo è la protagonista femminile bella e simpatica, non solo carina, magari questo sarà il suo trampolino di lancio, la parola lei la usa già anche se non sentiamo la sua voce. Il terzo protagonista è il cane del divo decaduto, che per capacità interpretativa ricorda un suo simile, Asta , il cane aiuto detective di W.Powell e Mirna Loy nella serie di film L’uomo ombra, classico prodotto del poliziesco hollywoodiano degli anni 30, film che visti oggi denunciano la stessa ingenuità di The artist, ma che sono senz’altro più onesti.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta