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Regia di Ruben Östlund vedi scheda film

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La recensione su Play

di alan smithee
7 stelle

locandina

Play (2011): locandina

MUBI

Esistono pregiudizi che creano luoghi comuni che possono trasformarsi addirittura in leggende metropolitane.

Esistono comportamenti intransigenti e coercitivi che creano, specie nel mondo giovanile, bande dominanti e schiere di sottomessi.

E poi ci sono gli adulti, che, spesso così presi dagli impegni che li affliggono e condizionano, nemmeno si curano di rispondere alle chiamate dei figli bisognosi di aiuto, lasciando costoro al loro destino, salvo poi cambiare atteggiamento ed agire di propria iniziativa, rivendicando con la forza i torti subiti dalla rispettiva prole.

Nel 2011 un allora ancora emergente regista svedese Ruben Ostlund si intestardisce a raccontarci queste strane storie di dissidi che vedono al centro della minaccia tre ragazzini timidi ed insicuri, figli di genitori benestanti quanto piuttosto estranei alla quotidianità dei loro pargoli, vessati da un gruppo di coetanei di razza nera, che nella città di Göteborg li avvicinano con la scusa di domandar loro l'ora, e poi li accusano di aver rubato il cellulare al fratello maggiore di uno di essi.

Si tratta della cosiddetta "formula del fratellino", con cui l'aggressore insinua dubbi sulla provenienza, peraltro certa ed assodata, di un bene di un certo valore, chiedendo alla vittima di seguirlo per verificarne la titolarità, e poi sottrargli l'oggetto.

scena

Play (2011): scena

scena

Play (2011): scena

Attraverso lunghe riprese a macchina fissa o impercettibilmente mobile, il regista spia l'agguato che vede i tre ragazzini subirne timidamente le conseguenze, sottoponendosi ad una vera tortura prima psicologica che fisica, che a sua volta finisce per ribaltarsi sullo spettatore.

Sullo sfondo un mondo indifferente e ignaro ai richiami, sia da parte di genitori di fatto inesistenti quando servono, o il cui intervento tardivo costituisce un ulteriore conferma dell'imbarazzo nel prender parte ad un ruolo che non è un mestiere, ma dovrebbe essere una funzione di vita insita nel proprio ruolo di uomo e generatore di esistenze. 

In una società che guarda sempre avanti senza soffermarsi ad osservare se stessa, gli individui stabiliscono rapporti reciproci secondo giochi di ruolo ove appartenere ad un determinato ceto o razza finisce per condizionare l'appartenenza ad uno piuttosto che al suo esatto opposto.

scena

Play (2011): scena

Di fronte a questi preconcetti, distinguere il buono dal cattivo diventa meramente una questione di punti di vista, che l'indifferenza generale compromette ancora di più.

E tra carrozzine abbandonate nei vagoni dei treni che ostruiscono passaggi e non sono responsabilità di alcuno, e timori e sudditanze che creano malori e necessità di evacuazioni fisiche che la macchina da presa non solo non ci nasconde, ma si preoccupa di dettagliarci, Play si trasforma in un crudele gioco al massacro non tanto fisico, quanto psicologico, che stende anche lo spettatore, trasportandolo in un mondo assurdo che ha perso ogni sensibilità e senso civico residuo.

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