Regia di Bouli Lanners vedi scheda film
Tre preadolescenti e un’estate nelle Ardenne. Bouli Lanners, già attore per Delépine & de Kervern (Louise-Michel) e Audiard (Un sapore di ruggine e ossa), si conferma autore di un cinema terragno e lunare, legato strettamente al folklore, sempre e comunque trasognante. Un’estate da giganti, terza prova da regista dopo Ultranova (inedito) ed Eldorado Road, è un racconto archetipico radicato nel paesaggio delle colline belghe: storia dell’abbandono dell’infanzia, incontro tra I Goonies e Mark Twain, le fiabe di Perrault e l’elegia contemplativa, è un road movie che gira in tondo e disperde, sequenza dopo sequenza, episodio dopo episodio, i residui dell’innocenza. La rappresentazione dell’età prepuberale è ben lungi dall’essere ipocrita: i tre piccoli Pollicino sono interessati a Bacco, Tabacco (con aggiunta di marijuana) e Venere, la storia che attraversano, semplicemente, è lo scontro tra ciò che resta della loro anima ludica ed esplorativa e l’immobilità caricaturale degli Orchi adulti, la legge inflessibile che ferma sistematicamente il viaggio e dallo sfruttamento del Capitale (il criminale che sottrae loro ogni bene) giunge sino all’amore come forma egoistica (la figura materna che li accoglie). Stilizzato come una comica muta, mai banale, dipinto dalle luci come fosse un quadro a olio, Un’estate da giganti parla di un’età soprattutto attraverso i non detti, la chimica dei corpi, il loro rapporto con lo spazio. Poetico, fisico, dolcemente surreale.
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