Regia di Vimukthi Jayasundara vedi scheda film
Si respira l'aria incontaminata ma un po' ferma, misteriosa e allo stesso tempo immobile e soffocante della cinematografia spesso indecifrabile ma anche di grande impatto emotivo del grande regista thailandese Apichatpong Weerasethakul. Un opera d'esordio presentata alla Quinzaine di Cannes nel 2011 ed uscita ora in Francia nei circuiti d'essai, suscitando almeno una certa curiosità.
Un giovane indiano sui trent'anni fugge improvvisamente di casa per rifugiarsi nella boscaglia di un'India poco identificabile geograficamente; sceglie un'esistenza da eremita che lo bolla immediatamente come folle e fa scattare nel fratello, un ambizioso architetto impegnato a Dubai nella costruzione di un grosso centro residenziale, una impellente urgenza di intervenire per trovarlo e ricondurlo alla civiltà, quella società che invece ha premiato lui come uomo di successo e di una certa fama. Ad aiutarlo in questa estenuante ricerca la sua fidanzata degli anni di gioventù, che per l'occasione forse si riavvicina all'uomo. Intanto il fratello vaga nella foresta incrociando i pochi segni di civiltà che casualmente gli si pongono davanti (un militare un po' folle, una colorata e bizzarra compagnia di amici mentre fanno un picnic). Il viaggio alla ricerca del fratello - che verrà infine pure ritrovato, ma che non troverà certo il modo di riabituarsi ai ritmi della vita cittadina e per questo verrà indotto dal fratello a perdersi nuovamente nel magico rassicurante mondo della selva, solo apparentemente inestricabile rispetto ai ritmi della modernità e del progresso - è però l'occasione per l'architetto per fare il punto della situazione intima e tutta interiore della sua vita: e l'occasione amara per veder franare molte delle certezze che sembravano solide come il cemento armato che caratterizza le sue opere faraoniche: ecco che in questa occasione infatti vengono meno tutte quelle sicurezze che permettevano all'uomo di bollare come folle la scelta bizzarra ed intransigente del fratello disadattato: nuove non preventivate difficoltà lavorative che fanno a pugni con la bellezza primitiva della foresta, accostata impropriamente alle geometrie inquietanti e mortifere del cemento armato che devasta e invade spazi vergini, finiscono per mettere in crisi e annientare le solide basi dell'uomo fino a quel momento integrato perfettamente nel mondo moderno e civile; fino alle estreme conseguenze.
Bei momenti di riflessione pura dove natura e cemento si alternano forse a dimostrare l'impossibilità di addivenire ad un accomodamento, ad un compromesso, ad una scelta che possa porsi a metà strada tra le due esigenze; una tartaruga, immagine ed essenza della primordialità della natura, che si fa spazio ai margini della foresta per guardare allibita i mostri di cemento che devastano senza tregua spazi di vita incontaminata; il cedimento di un uomo che inizialmente ambisce a costruire la torre più alta del mondo, ancora più alta di quella già presente a Dubai e gigantesca come una montagna di oltre 800 metri, ma poi si pente di tutta quella mostruosità e compie una scelta fatale, utilizzando come "trampolino di lancio" proprio la sua infernale struttura ancora da terminare.
Simbolismi e contrasti di cui è pieno il cinema, uno stile che ha un illustre e dichiaratamente citato precedente in un autore forse inaccessibile ai più ma ormai consacrato agli onori del cinema d'autore di massimo livello (il citato autore del controverso ed indecifrabile ma suggestivo "Zio Boonmee..."). Un regista che sarà interessante continuare a seguire, ancor più se sceglierà di seguire un suo percorso più personale ed intimo da cui emerga una sua più spiccata reale personalità.
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