Regia di David Dobkin vedi scheda film
Due amici, opposti nel modus vivendi, si trovano l’uno non solo nei panni, ma anche nel corpo dell’altro, con relative, disastrose e formative, conseguenze. Da uno spunto narrativo antico come il mondo, Jon Lucas e Scott Moore, sceneggiatori di Una notte da leoni, scrivono per la regia di David Dobkin l’ennesima pagina identica a se stessa della commedia contemporanea statunitense. Ovvero un genere che struttura il mondo, oggi, secondo le modalità imposte da Judd Apatow, modello seminale e, botteghino vuole, referente imprescindibile. Il suo discorso continua a reiterarsi, anche in mani altrui, tentando di affinarsi: eterni Peter Pan, maschi (fa eccezione la variazione di Le amiche della sposa), corpi da buddy movie per cui la donna è un maturo mistero inconoscibile se non tramite la riduzione a mero corpo sessuale, insoddisfazione latente o manifesta, fase anale che riemerge in una comicità demenziale sempre più triviale, e una narrazione che educa i protagonisti a valori adulti e condivisi, perché la commedia è, da sempre, genere dell’integrazione. Il politicamente scorretto non ha alcuna carica eversiva (lo conferma la citazione di Animal House, specchio di una parentesi temporanea), l’happy end romantico è garantito, ma qui fa anche tabula rasa di ogni sfumatura problematica. E se il doppiaggio annienta i calembour linguistici, quel che rimane è solo il gioco sui corpi degli attori. Come a dire: una miseria.
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