Regia di Jerzy Skolimowski vedi scheda film
Parabola sociopolitica religiosa sulla Polonia e sulla condizione del popolo polacco, all’affacciarsi dei movimenti rivoluzionari pacifisti di Solidarnosc scaturiti dall’ondata di scioperi avvenuti nei primi anni ottanta con conseguente colpo di stato delle truppe di Jaruzesky.
Skolimowski affronta il delicato argomento indirettamente, descrive un microcosmo di quattro operai in trasferta a Londra per ristrutturare in un solo mese l’appartamento del loro datore di lavoro in patria, ma solo uno di loro conosce la lingua inglese e solo lui è il nostro anello di congiunzione con la loro realtà fatta di stenti, umiliazioni, compromessi, privazioni.
Novak è il portavoce degli uomini all’opera per un tozzo di pane, colui al quale è affidata la gestione delle 1200 sterline a disposizione per completare il lavoro, vettovaglie e svaghi compresi: è il capocantiere di quel tugurio freddo e sporco che a cavallo del dicembre 1981 costituisce la casa e l’impiego per quei quattro operai, ognuno dei quali impiegherebbe 5 anni per guadagnare l’intero budget a disposizione nel loro poverissimo paese, è il loro angelo custode costretto suo malgrado a nascondere la verità sugli avvenimenti che stanno accadendo
in patria e a rubare per non indebolire le energie dei suoi colleghi, è un uomo dilaniato dal dubbio che il suo datore di lavoro lo abbia allontanato dalla Polonia per godersi le grazie della sua donna che osserva pensieroso in una istantanea appesa al muro.
La similitudine fra quel luogo chiuso e disastrato e la Polonia è fortissimo, all’esterno di quello squallido rifugio da rimettere a nuovo da cima a fondo ci sono solo i rimproveri e gli insulti degli inglesi, del loro ipocrita perbenismo incentrato sullo sfruttamento di gente obbligata ad accettare la sottomissione come sono sempre stati i polacchi, privati della loro dignità fra le mura di casa propria, abituati ad accettare un orologio obsoleto come paga suonante di uno sforzo estenuante privo di garanzie come un televisore scassato rifilatogli da un subdolo rigattiere consapevole della loro ingenuità.
Skolimowski non snatura la bellezza del suo cinema fatto di luce naturale splendente, direzione solida dei suoi attori e trucchi filmici geniali che catturano l’occhio dello spettatore, soprattutto nelle inquadrature della fotografia di Ana, inserisce ancora una volta un oggetto feticcio dei suoi film che diventa un punto di snodo nella storia, la bicicletta: come nella ravvicinatissima sequenza iniziale di “Deep End” che sfociava nell’introduzione del personaggio di John Mulder-Brown ancora così innocente da dover pedalare per spostarsi, come Alan Bates in “The Shout” che sgonfiava il pneumatico per avvicinare John Hurt, qui Jeremy Irons usa la bici per appoggiare il frutto dei suoi taccheggi e poi subire la stessa sorte.
Il fenomenale attore britannico nei panni di Novak consegna agli annali la sua ennesima prova convincente: esprime il punto di vista religioso del suo regista, recita quasi un monologo interiore, commenta le scene sovrastate dalle sue riflessioni con espressioni misurate del viso oltre a dare voce ai pensieri dei suoi tre colleghi polacchi molto bravi, ai quali è concesso di esprimersi solo nella loro madre lingua ma anche di esibirsi in una significativa prova di mimica corporale e facciale
“Moonlighting”, che è un termine cockney che significa lavoro in nero, è l’ennesima prova del talento impagabile di Jerzy Skolimowski, un film assolutamente da vedere che non annoia neanche un istante, al contrario desta attenzione fin dalle primissime inquadrature fino a quella conclusiva.
Scintillante
Che classe Jeremy Irons, notevole la sua prova
Ottimo
Ottimo
Ottimo
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta