Regia di Nicolas Roeg vedi scheda film
Il desiderio di maternità inteso come accanimento laddove la natura pone limiti invalicabili, si fonde con antichi rituali celtici pagani in cui a farne le spese è una giovane architetto desiderosa di un ritorno alla vita rurale. Roeg non rinuncia a simbolismi e esplosioni oniriche forti, ma non riesce a governare bene la materia.
La maternità è una tematica che appare spesso nella cinematografia onirica, sopra le righe e contaminata da effetti o sensazioni allucinogene, di Nicolas Roeg.
In questo Puffball, il cui titolo fa riferimento ad un fungo tondeggiante e bianco non proprio velenoso, ma dagli accertati effetti stordenti per la mente, a seconda del momento di vita in cui esso viene ingerito, il desiderio di maternità diventa ossessione per una donna di mezza età di nome Mabs (Miranda Richardson), ormai vicina alla menopausa ma convinta di potersi e doversi ancora riprodurre, nonostante una prole già numerosa al seguito.
A farne le spese, la vera protagonista della vicenda, ovvero la giovane architetto Liffrey che, lasciato il caos della città e l’affermato studio presso il quale prestava servizio, acquista una vecchio casolare sperduto nella piovosa ed umida campagna inglese, per rifugiarvisi, dopo averlo trasformato nella casa dei suoi sogni.
Liffrey (interpretata dalla rossa, avvenente ed eterea Kelly Reilly) riceve visite costanti da parte del suo uomo, spesso in viaggio d’affari, e la gravidanza inaspettata della ragazza viene interpretata come un atteggiamento di sfida da parte della sua vicina, venuta a sapere di una relazione occasionale tra il suo giovane ed aitante amante e la giovane donna. Mabs è convinta che il nascituro sia frutto della relazione furtiva col suo uomo, e che dunque la donna le abbia rubato il figli ancora prima di concepirlo. Per questo, folle di rabbia, la donna induce la madre (interpretata da una spettrale Rita Tushingham), una inquietante strega legata a riti celtici simili per effetti alle maledizioni VooDoo, a tramare contro quella gravidanza, procurandole quello che la donna e i medici scambiano per un aborto.
Nell’impasto narrativo, spesso confuso e poco centrato, si innestano anche sotto-storie legate a grosse pietre forate, risalenti ad antichi riti magico-amorosi professati dalle tribù che abitarono quei luogo sin dalla preistoria: appigli magico-esoterici che piacciono molto a Roeg, e gli permettono ancora una volta di dare sfogo alla sua immaginazione con scene oniriche cruente e coraggiose (riti pagani, fecondazioni esplosive rappresentate direttamente all’interno dell’organo femminile, funghi satanici sadicamente dilaniati da coltelli appuntiti).
Un Roeg incontenibile a tratti, che sfiora il ridicolo ma che ci piace più in questi frangenti sopra le righe, piuttosto di quando procede con l’intreccio della storia, che stenta a rendersi fluida e credibile.
Di fatto più un film curioso ed insolito che riuscito, Puffball, opera stramba e difficilmente incasellabile in un genere definito e compiuto, risulta al momento l’ultimo lungometraggio girato ad oggi dal celebre cineasta inglese.
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