Regia di Tak Sakaguchi, Yûdai Yamaguchi vedi scheda film
Qui lo dico e qui non lo nego: il Sushi Thypoon, serie di film prodotti dalla Nikkatsu per il mercato nordamericano, ucciderà la percezione del cinema giapponese in occidente. Obiettivo di questi film è infatti quello di fornire al pubblico europeo/americano tutte le esagerazioni che ci si aspettano dal “quel pazzo, pazzo” cinema nipponico. Se alcuni risultati sono divertenti e discretamente originali, come nel capostipite Machine Girl, il filone inizia già a mostrare la corda. Il film è exploitation allo stato puro, tutto giocato sul bizzarro, sul grottesco, sulle esagerazioni pulp in salsa di soia, esibendo con orgoglio gli effetti speciali low-budget e un comparto tecnico di grana grossa.
Sakaguchi Tak, sigaretta perennemente accesa in bocca, sfoggia tutto il suo repertorio di arti marziali combinate nelle incessanti scene di lotta che però non destano grande impressione nè per coreografie, nè per originalità, se non per un inaspettato piano-sequenza di 5-6 minuti nel quale il protagonista fa schizzare il bodycount alle stelle mentre la macchina da presa lo segue girandogli attorno e scegliendo le angolazioni giuste. Carina l’idea alla Bruce Lee del palazzo con un boss per ogni piano, la presentazione dei cattivi viene fatta proprio come fosse un videogioco, peccato però che Sakaguchi decida di radere al suolo il palazzo con la dinamite e privarci di incontri potenzialmente epici.
La sceneggiatura, se così vogliamo chiamarla, è tratta da un manga, ma sembra piuttosto un derivato di Full Metal Yakuza di Miike, a sua volta sorta di rielaborazione/parodia di Robocop. Un figlio di un boss yakuza torna in patria e trova il suo clan soppiantato dal malvagio ex braccio destro del capo; procede quindi alla sistematica eliminazione di chiunque gli si pari davanti per salvare la sua bella rinchiusa in cima ad una torre (davvero!), sfruttando i mini-cannon che una sorta di ridicola CIA giapponese gli ha installato su braccia e ginocchia per sconfiggere i cattivi. Si arriva così allo scontro finale con la sua nemesi (una volta migliore amico), il quale usa la sorella morta come lanciarazzi. Quest’ultima è l’unica trovata divertente e assolutamente polically uncorrect di un film altrimenti scialbo, senza idee e neppure così divertente come prometterebbe, ma che semplicemente cerca di consolidare il repertorio di perversioni giapponesi entrate nell’immaginario collettivo occidentale, come quando la promessa “sposa” del nostro eroe viene rapita e vestita da liceale con tanto di treccine.
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