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Krabat e il mulino dei dodici corvi

Regia di Marco Kreuzpaintner vedi scheda film

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La recensione su Krabat e il mulino dei dodici corvi

di OGM
8 stelle

La dura risposta teutonica alle zuccherose fantasticherie harrypotteriane. Tra i grotteschi ritratti alla Hyeronimus Bosch e i pittoreschi chiaroscuri alla Pieter Bruegel, Kreuzpaintner trae spunto da una leggenda seicentesca per raccontare il dramma di un ragazzo orfano, sottratto alla povertà derivante dalla guerra, ma catturato nella tenebrosa dimensione della magia nera. La comunità guidata dalla sinistra figura del Mugnaio, rinchiusa in una cascina isolata della Sassonia orientale, sembra una riedizione in chiave demoniaca di quella formata da Gesù e i Dodici Apostoli: la certezza della morte, al compimento del ciclo scandito dalla ruota del mulino, si sostituisce alla promessa della vita eterna, il voto di castità diventa una maledizione rivolta contro le ragazze amate dai discepoli, l’obbedienza ai comandamenti assume la veste di una crudele schiavitù. La violenza è lo strumento con cui vengono combattuti i nemici, i miracoli lasciano il posto a macabri sortilegi, la trasfigurazione avviene nelle sinistre sembianze della vecchiaia, o in quelle funeree dei corvi. E tutto ciò è una manifestazione di sofferenza e di fatica, quelle di chi è costretto a forgiare il carattere con prove disumane e nella totale rinuncia agli affetti e alla normale realtà del mondo. In questo monachesimo infernale si scorge l’allegoria della sfida solitaria dell’eletto/reietto, che non può vivere nella libertà, poiché deve costantemente attivarsi e stare in guardia, per giustificare – e, all’occorrenza, difendere - la propria esistenza: il riferimento è alla condizione del diverso, che, all’interno di una stretta cerchia di iniziati, può essere indotto a vedere la sua eccezionalità come un privilegio, forse addirittura come un indice di superiorità; però, concretamente,  rispetto al resto della società, si ritrova confinato in un avvilente stato di emarginazione. Rifiutare la segregazione, anche se alimenta la nostra vanità con la confortante illusione di appartenere ad un’élite, ed aprirsi comunque al mondo che si è mostrato ostile, è la lezione che la storia di Krabat pare volerci insegnare. La piccola squadra dei nostri simili può essere un rifugio insidioso, in cui covano l’astio e la rivalità, ed è per definizione un ambiente esclusivo, e quindi chiuso ed asfittico. La vita vera, con le sue infinite opportunità, è invece là fuori, dove possiamo sviluppare il nostro essere in tutta autonomia, perché vi entriamo armati non più della corazza protettiva del clan, bensì della nostra consapevolezza di persone uniche ed indipendenti, inserite in una sconfinata varietà umana.   
 
 
Krabat è il protagonista di una leggenda appartenente alla cultura dei sorabi (o sorbi, o serbo-lusaziani), una popolazione di origine slava che abita la regione della Lusazia, un triangolo di terra incuneato tra la Germania, la Polonia e la Repubblica Ceca. Da questa storia sono stati tratti diversi romanzi per ragazzi, l’ultimo dei quali, scritto da Otfried Preussler nel 1971, è tuttora uno dei principali libri di lettura adottati nelle scuole tedesche. La sua trasposizione cinematografica ha ottenuto, in Germania, un ottimo successo al botteghino.
Nella versione di Kreuzpaintner, l’interpretazione “politica” data da Preussler si trasferisce sul piano delle relazioni tra l’individuo e la massa. Entrambi hanno visto, nella vicenda di Krabat, una parte della loro vicenda personale; ma, mentre lo scrittore (classe 1923) ha concepito il suo libro come la storia della sua generazione, “di tutti i giovani che vengono a contatto con il potere ed i suoi allettamenti e vi rimangono invischiati”,  il regista sembra aver invece voluto proporre una parziale rivisitazione, in chiave letteraria e fantastica, dei temi autobiografici del suo precedente Sommersturm (2004):  il tradimento dell’amicizia, la perdita della fiducia nel gruppo di appartenenza, l’emergere dei contrasti che scatenano l’intolleranza, e la vittoria del sentimento spontaneo ed individuale su tutte le forme di coercizione. 
 

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