Regia di Howard Hawks vedi scheda film
Un chimico, al servizio di un’azienda di cosmetici, sta cercando di ottenere un prodotto che garantisca un ringiovanimento miracoloso; uno scimpanzé (da cui il titolo originale Monkey business e una breve citazione in L’esercito delle dodici scimmie), usato come cavia, lo anticipa mescolando ingredienti a caso e versando il beverone risultante nel contenitore di acqua potabile del laboratorio. Una di quelle commedie dove tutti si agitano a vuoto senza riuscire neanche a far sorridere: un risultato fiacco, stancamente ripetitivo, con eccezioni rarissime (es. la scena in cui Ginger Rogers si sveglia accanto a un neonato e lo crede suo marito) e a volte riciclate da altri film (la gag dell’uomo chiuso fuori dalla stanza d’albergo ma con la cintura infilata alla porta, quindi impossibilitato ad allontanarsi, viene pari pari da Ero uno sposo di guerra). L’ultima volta di Cary Grant diretto da Hawks è sicuramente la peggiore: vederlo giocare agli indiani insieme ai bambini e legare al palo il suo rivale in amore per scalparlo è solo imbarazzante. Incomprensibili gli sdilinquimenti dei critici francesi dell’epoca, incantati dallo spessore filosofico dell’opera (“il nemico si è ora insinuato nell’uomo stesso: il sottile veleno della fonte della giovinezza, la tentazione della gioventù. È la più nefasta delle illusioni, contro la quale Hawks si accanisce con un po’ di crudeltà: l’adolescenza, l’infanzia, sono condizioni barbare, dalle quali ci si salva con l’educazione”, scriveva Rivette). Sorvoliamo sulla totale mancanza di sensibilità animalista: oggi sarebbe inaccettabile, ma erano altri tempi.
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