Regia di Tomas Alfredson vedi scheda film
1973: i sovietici hanno infiltrato un loro uomo ai vertici del controspionaggio inglese; un agente viene mandato a Budapest per contattare un generale ungherese pronto a rivelarne l’identità, ma la missione va storta. A partire da qui le storie si accavallano, quasi ignorando il confine fra passato e presente e lasciando sempre un margine di oscurità: è un film dalla trama contorta, difficile da seguire, ma affascinante. I titoli di testa arrivano dopo il prologo, in stile 007, però il contesto è molto meno glamour (chiara la parentela con La spia che venne dal freddo, sempre tratto da un romanzo di Le Carré): i protagonisti sono uomini votati alla solitudine, consapevoli di non potersi fidare di nessuno, immersi nel loro sporco lavoro, e tuttavia mantengono una sorda fedeltà al proprio dovere. Dall’altra parte c’è l’inafferrabile agente KGB detto Karla, che a malapena si intravede di spalle ma è spesso presente nei discorsi dei suoi avversari: un’intelligenza diabolica che, pur sapendosi (erroneamente) alle soglie della morte, ha abbastanza prontezza di spirito da non restituire un accendino che potrà servirgli. Perciò delude la conclusione normalizzatrice, dove ci si limita a scoprire chi è la talpa: ci si sarebbe aspettati qualcosa di fuori dagli schemi (del tipo: la talpa non esiste, è solo una proiezione delle nostre paranoie; oppure la talpa sono io, che ho ricevuto l’incarico di cercarla; oppure le talpe sono tutti gli altri).
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