Regia di Tomas Alfredson vedi scheda film
C’era una volta un certo Kim Philby.
Alias quello che fu (in seguito agevolmente) riconosciuto come la “talpa” più famosa (e - anzi, “perché” - nociva) di tutta la storia dell’intelligence britannica.
Ma chi è il Kim Philby della situazione nello spy-thriller La Talpa (titolo molto meno allusivo dell’originale, ma tant’è)?
Di primo acchito non è così facile a dirsi (almeno fino a quando, all’ultimo, non viene apertamente svelato l’arcano). Alla prima visione (del film) si viene sopraffatti da una folata di plumbeo mistero; dalla rappresentazione lentissima e calligrafica di un palcoscenico di ombre (Houssy); dalla staticità delle inquadrature (che soggioga l’azione; ico); dalla pesantezza delle palpebre… e, di riflesso, da un diffuso senso di frustrazione; perché si avverte che il quadro è ricco (anche troppo) di dettagli (ma non tutti, invero, della stessa importanza), ma solo alla fine (sempre che vi si giunga ancora svegli) si può tentare di essi mettere bene a fuoco; niente più di un tentativo, comunque.
Ma, latente, trapela finanche una sensazione spiacevole; quella di chi sa di aver visto più di quanto abbia profondamente compreso (perché tra nomi e trama - tobanis - il rischio di smarrimento è dietro l’angolo). Una sensazione che non dà pace fino a quando non abbia ricevuto l’agognata soddisfazione di una seconda visione (purchè debitamente attrezzati, stavolta, con una doppia razione di caffè).
Così l’attenzione non retrocede più dinnanzi alle insidie di una narrazione dispettosamente rapsodica; dinnanzi ai brevi fotogrammi che immortalano il corpo decadente di Controllo (J.Hurt), l’infedeltà coniugale di Ann, l’abbinamento di ruoli (nel gioco degli scacchi) e soprannomi; l’ “indicibile” segreto di Peter (B. Cumberbatch); la speciale “amicizia” fra l’agente Prideaux (M.Strong) e l’ “alfiere” della situazione…e la mano sull’accendino di un bar di Budapest…
Debolezze, segreti più o meno inconfessabili, sfumature di un’epoca opprimente, in scala di grigi; tutto riemerge sotto una luce nuova e lumeggia quel puzzle di dettagli pastosi - e finalmente distinguibili gli uni dagli altri - che fanno del film in questione già un classico del (contro)spionaggio.
Poi, a ben vedere, non è che vi si possano intravedere solo meriti. La colonna sonora si prende un po’ troppi spazi (quelli non già occupati dalla densità della trama) e ritmo (soporifero) e tensione (incalzante) costituiscono i poli opposti di un asse narrativo lungo il quale si intrecciano, con qualche affanno di troppo, anagrammi (mai nomen fu meno omen di quello di Gorge “Smiley”; Tarabas) e analessi.
Ma tutto il resto funziona a dovere e, se ci si prende il lusso di una seconda visione (per chi dovesse superare il “trauma” della prima), si scopre un film ricco di sostanza (oltrechè di forma)…. Coronato pure (chi l’avrebbe mai detto?) da quello che sembra essere un sorriso (di "Smiley"!)...
Consigliato (nondimeno, soprattutto) ai patiti del genere… che abbiano molte ore di sonno alle spalle!
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