Regia di Tomas Alfredson vedi scheda film
A fianco del miglior Gary Oldman, attori in gran spolvero, i cui personaggi sono scolpiti da una regia pressoché perfetta, senza fronzoli, che bada all’essenziale, che dipana la trama complicata di John le Carré in un capolavoro di ellissi, senza preoccuparsi di renderla spettacolare.
“Tinker, Tailor, Soldier, Sailor, Richman, Poorman, Beggarman, Thief”
(Calderaio, sarto, soldato, marinaio, ricco, povero, mendicante, ladro. Filastrocca inglese per bambini)
Il magistrale film di Tomas Alfredson dimostra come si possa ricavare uno straordinario film da un capolavoro della bibliografia spionistica. Dal possente libro di John Le Carré, il regista svedese, che era conosciuto soprattutto per un horror molto interessante (Lasciami entrare), ne ricava un film solenne, tetragono e di grande fattura che ci immerge totalmente nell’atmosfera dei tempi bui della Guerra Fredda. Basato su una sceneggiatura senza sbavature (scritta a quattro mani da Bridget O'Connor e Peter Straughan) il film, rispettando la narrazione del grande scrittore inglese, si dipana tra le interminabili riunioni dei capi del “Circus” – l’ufficio dei massimi funzionari del MI6, i servizi segreti britannici – e le pochissime azioni degli agenti. Ma tutto ciò non toglie alcunché alla tensione crescente della storia, all'incalzare degli sviluppi, al dipanarsi del mistero.
Tutti abbiamo fatto caso ed abbiamo esaltata l’interpretazione di Gary Oldman nel biopic di Churchill – che gli ha fruttato tutti i premi più importanti - ed invece secondo me è proprio in questo capolavoro del regista svedese che lui ha dato la più grande prova di se stesso: pacato, lento, dallo sguardo silenzioso e distaccato mentre intanto nulla gli sfugge, intuitivo e indagatore, esperto della sua materia e del comportamento umano quando l’uomo guarda solo alle proprie convenienze. Una recitazione compassata e millimetrica, badando più a “levare” che ad aggiungere, con un aplomb perfettamente in sintonia col suo soprabito inglese. Dal poliziotto pasticcato di Leon allo studio del Circus c’è la maturazione di un grandissimo attore, che ha dovuto truccarsi da Premier degli anni della Seconda Guerra Mondiale per affermarsi definitivamente ma che qui offre il suo miglior contributo, dedito alla ricerca del traditore dopo essere stato “messo” a riposo dal Ministero. E con quali speranze di riuscita? “Ed è per questo che possiamo sconfiggerlo... perché lui è un fanatico! E i fanatici nascondono sempre un dubbio inconfessabile.”
Chi lo aveva preceduto nel personaggio ben molti anni prima (James Mason in Chiamata per il morto di Sidney Lumet; Rupert Davies in La spia che venne dal freddo di Martin Ritt dove invece aveva un ruolo piuttosto secondario; l’esemplare Alec Guinness nelle miniserie della BBC, pietra di paragone imprescindibile per chi affronta il ruolo) viene cancellato – ad eccezione ovviamente di Sir Alec – da questa fenomenale performance di Gary Oldman, il quale può godere a suo vantaggio di tutto un cast di eccellente qualità con tutti gli attori in stato di grazia, che non fanno altro che esaltare la sua prova: una gara a superarsi insomma. Una prova corale di altissimo livello.
Ma chi mai può essere la talpa, insinuatasi addirittura nel ristretto cerchio di uomini al vertice del Circus, se si vuol escludere l’affidabile George Smiley, definito mediante le cinque pedine degli scacchi poste sulla scrivania del loro capo, Beggarman – il mendicante?
L’equivoco Colin Firth, Bill Haydon (Tailor – il sarto), dal fisico affascinante e dal sorriso di convenienza che strega; Ciarán Hinds, Roy Bland (Soldier – il soldato), sempre impenetrabile; Toby Jones, Percy Alleline (Tinker – il calderaio), opportunista e carrierista, piccolo e pericoloso; David Dencik, Toby Esterhase (Poorman – il povero), viene dall’Est, sempre difficile affidarsi ciecamente a lui; a cui vanno aggiunti altri tre bellissimi personaggi: Benedict Cumberbatch (Peter Guillam), giovane affidabilissimo che purtroppo per lui ha qualcosa della sua vita privata da nascondere per quei tempi; Mark Strong (Jim Prideaux) misterioso agente per missioni delicate all’estero, che qualcosa che non giri nel verso giusto lo intuisce; Tom Hardy (il biondissimo e barbuto Ricki Tarr) che ha scoperto “un tesoro” di informazione ed è ricercato da tutti, per essere eliminato (a proposito, che bravo in questo ruolo!); ed infine il capo, un fantastico John Hurt, il Controllo, ben conscio che all’interno del “Circus” c’è una talpa infiltrata e che ha abbinato gli iconici soprannomi ai suoi stretti collaboratori. Chiunque può essere la talpa, chiunque, anche il più fidato. “Non fidarti di nessuno. Sospetta chiunque.”
Attori in gran spolvero, i cui personaggi sono scolpiti da una regia pressoché perfetta, senza fronzoli, che bada all’essenziale, che dipana la trama complicata di John le Carré in un capolavoro di ellissi, senza preoccuparsi di renderla spettacolare, alternando i bellissimi panorami invernali, lividi e umidi londinesi ai primi piani sul viso degli attori, su cui lo spettatore stesso deve percepire le sensazioni che provano o qualche segno che li tradisca. Alla fine della visione ognuno di noi è conscio di aver conosciuto alla perfezione i vari personaggi, tanta è la cura che il regista ha dedicato a loro e come li ha saputi costruire e illustrare.
La bravura di Alfredson risiede anche nel fatto che ha saputo trasmettere l’alone che circonda i romanzi di John Le Carré e le sue complicate storie di spionaggio, degli intrighi delle basse manovalanze e delle alte sfere dei servizi segreti. A differenza dell’altro grande scrittore del genere, Graham Green, che invece amava plasmare le sue storie con le implicazioni più umane e soggettive dei suoi spesso piccoli e perdenti eroi.
Tanti personaggi importanti, altrettanti rivoli di storie personali che conducono al finale predestinato: l’individuazione del doppiogiochista e la sua inevitabile eliminazione, quando poco prima quest’ultimo si giustifica con un senso filosofico tutto british: “Ho dovuto scegliere con chi schierarmi. È stata una scelta estetica, oltre che morale, devo dire. L’occidente è diventato talmente… sgradevole!”
Un vero capolavoro questo film, troppo sottovalutato e poco considerato: l’importante è sedersi e dedicare tutta la giusta attenzione per non perdere il filo di un complicato gioco di spionaggio e psicologia, il cui finale ci riporta con i piedi sulla terra e alla quotidianità di un uomo tranquillo, abitudinario, metodico come George Smiley.
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