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Capodanno a New York

Regia di Garry Marshall vedi scheda film

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La recensione su Capodanno a New York

di M Valdemar
2 stelle

ELOGIO DELLA PALLA.

Piallata di ogni senso della misura e della credibilità da una sceneggiatura che definire ridicola è un eufemismo bell’e buono, quest’ennesima inutile commedia romantica è una pagliacciata alimentar/sentimental/demental d’inusitata bruttura, impudenza e pochezza.
Spettacolo caotico e squilibrato, scontato oltre ogni (in)umana immaginazione e limpidamente fasullo sin nelle sue intime fondamenta, è un’orchestrazione schizzata (della più fetida melma) di aberranti figurine-ine-ine che ruotano confusamente e maldestramente attorno a questa grande palla luminosa che domina Times Square.
La palla è l’unico elemento dell’intero film a mostrare un minimo di vita e qualche segno di capacità artistiche. La più espressiva tra tutte le stelle (cadenti o già franate fragorosamente) del malassortito cast. Per dire.
Non è che si voglia criticare a tutti i costi la prevedibilità della trama o l’eccessiva sdolcinatezza che impera/infesta indefessa rendendo l’atmosfera stucchevolmente asfittica, deprimente - è proprio la scadentissima realizzazione e messa in scena a scatenare un (quasi) insostenibile moto di riprovazione e repulsione, destandoci dal molle sopore (in cui fluttueremmo volentieri anche qui) che prodotti similari ineluttabilmente inducono.
Opera corale con i vari episodi e personaggi che s’intrecciano goffamente: non ce n’è nessuno che si salva, tutti scritti in maniera oscena, misera, tant’è che si può solo decidere (giochino puerile) qual è il meno peggio. No, anzi, la scelta è troppo ardua, sicuramente il peggiore è quello che vede protagonisti l’inutile bambolo Zac Efron (dal colorito aragosta) e una Michelle Pfeiffer mai scesa così in basso. Infatti all’inizio la si vede piombare su dei sacchi dell’immondizia. Una (involontaria) metafora azzeccata, puteolente e profetica.
Quasi non ci si crede all’indicibile nutrita serie di mezzucci ed espedienti usati, come pure il bieco ricorso al pietismo e alla lacrima facile della vicenda che vede De Niro malato terminale e Halle Berry infermiera caritatevole che, in collegamento col marito marine in missione all’estero (non manca proprio niente) svela il suo lato sexy con un  vestitino da infarto. Maddai!!
Un abuso dietro l’altro, chiediamo a questo punto una condanna esemplare. Lo script, per dovere di informazione, è di Katherine Fugate, già al lavoro col regista Garry Marshall nel precedente Valentine's Day, nonché creatrice della pessima reazionaria serie tv Army Wives.
Il vertice del ribrezzo però (diamo onore al merito) lo si raggiunge con la scena finale (della quale vi risparmio i dettagli) riguardante Sarah Jessica Parker, già presenza costantemente inquietante, appestante e rivoltante lungo tutta la pellicola. Fortuna che ci sono anche gli altri e il suo minutaggio è limitato perché regolato dal sistema di concessione di adeguato spazio alle altre star (immaginiamo la “sofferenza”, calcolatrice scientifico/soddisfacapricci alla mano).
L'accumulo di divi e divetti è impressionante, ammucchiati alla rinfusa, “impegnati”, come sono, a stare in posa cadaverica di fronte alla macchina da presa. S’è evidentemente cercato di accontentare tutte le fasce d’età ed ecco quindi spiegata la partecipazione contemporanea di star passate, presenti e future. Quelle più irritanti e scadenti sono i più giovani: Ashton Kutcher, il già citato Zac Efron e Lea Michele (quella di Glee) che, naturalmente, non ci può “risparmiare” le sue ammorbanti esibizioni canore. Una da sola (il suo ruolo sarebbe quello di una corista, ma siccome l’osannata e strapagata rockstar Jensen va a redimersi, a lei danno il palco principale!), l’altra in un immondo duetto a distanza con Jon Bon Jovi (il Jensen di cui sopra) che suscita irrefrenabili istinti omicidi.
Superfluo soffermarsi sugli altri compagni di merenda, è già abbastanza quanto detto, direi.
Il grande De Niro dovrebbe smetterla di prendere parte a tali stupidate, anche se la battuta migliore è la sua, alla fine, quando sullo schermo scorrono gli errori sul set (appunto, non manca nulla di nulla, ma paiono quasi tutti fintissimi): al gonfio Cary Elwes, medico che lo ha in cura, cade la cartella clinica e lui, puntandogli il dito, gli dice, più o meno: “non ti vorrei mai come dottore”.
In conclusione, Capodanno a New York è un film veramente imbarazzante, tossico, palloso. Non si vede l’ora che la palla cada giù e travolga ogni cosa.

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