Regia di Gary McKendry vedi scheda film
Quando “Fanciullo” Jason Statham incontra un fanciullo seduto sul retro di un’auto del quale ha velocemente ammazzato tutti i passeggeri, esita, s’interroga, non ce la fa. Quasi lo fanno fuori, se non fosse per “Esperienza” Robert De Niro, che gli salva il posteriore e lo trascina via con sé, al sicuro.
Il ritiro è desiderato, annunciato, eseguito. L’autoesilio, lontano da un mondo crudele e pericoloso che non ammette pentimenti né fughe, è rurale, quieto, paradisiaco: una bionda angelica con le diaboliche fattezze di Yvonne Strahovski (la Sarah Walker di Chuck), emersa come una Venere da un passato remoto, attenta al cuore del killer, conquistandolo.
Tutto a posto allora?
No, perché il lavoro perseguita l’uomo, e poi c’è il vecchio maestro e amico che s’è cacciato in un bel guaio: mai abbandonare un incarico già accettato. Preso l’obbligo di porre rimedio alle manchevolezze del collega, tenuto in ostaggio dal mandante, uno sceicco omanita, Fanciullo si lancia anima e (soprattutto) corpo nell’ardua impresa di giustiziare gli assassini dei tre figli dello sceicco, compiuti da membri del SAS, le brutali e preparate esclusive forze speciali britanniche.
Una cavalcata furiosa, rischiosa, suicida, accompagnata da fidati complici - i quali hanno il miraggio di sei milioni di buoni motivi -, e che si rivela essere più ingarbugliata del previsto nel momento in cui entrano in campo gli “uomini piuma” - società segreta che protegge i SAS ma soprattutto i loro “sporchi” affari e scheletri nell’armadio - nella persona di colui al quale è assegnato il lavoro sporco: lo “Sfregiato” Clive Owen, risoluto e abile ex soldato d’elite pure lui.
Sullo sfondo dei primi anni ottanta - plumbeo, vischioso, desolato seppur “urbano” (e "macchiato" dagli insolenti punk) - uno spietato puparo al serizio del governo di Sua Maestà muove i fili di una vicenda meschina, corrotta, infradiciata dalla brama di possesso dell’oro nero.
Torbido scenario, in cui buoni e cattivi si (con)fondono, o forse non esistono; ognuno cura i propri interessi e vizi, obbedendo a (in)coscienza e a volontà, quella scolpita sulle polverose pagine di destini scritti e insudiciati di sangue.
Killer Elite si colloca in un robusto piano fieramente e genuinamente anacronistico (niente effetti speciali), delimitato da coordinate ben definite e concrete, con impeccabili e suggestive parabole “westerniane” ed epiche, in cui trovano domicilio figure antieroiche e loschi figuri. Tutti con facce truci e modi spicci, schizzano come pallottole infuocate all’interno di un disegno più grande di loro, che non comprendono e di cui possono solo sperare di uscirne.
Storia dall’impianto classico, solido, che oltre l’appagante ed efficacissimo apparato action - vigoroso, muscolare, credibile anche quando non lo è - svela i meccanismi ingegnosi e ottimamente strutturati di una spy story (basata su fatti veri, rivenienti dal romanzo di Ranulph Fiennes The Feather Men) avvincente ed intrigante come solo gli inglesi sanno raccontare.
Montaggio teso, vibrante, serrato, regia funzionale e “rispettosa”, caratterizzazioni convincenti e ben sfruttate di una banda di “bastardi” (da segnalare il barbuto e gaudente mercenario Dominic Purcell - il Lincoln Burrows di Prison Break) capitanata dal grande Robert De Niro. Che se ne sta in disparte - scaltra e magnetica presenza - ad osservare il gagliardo duello tra il valido Statham e il sorprendente Owen.
Solo nel (bel) finale i tre condivideranno insieme lo stesso spazio: Sfregiato cerca di scappare col malloppo, Esperienza e Fanciullo che lo braccano in mezzo al deserto.
Chi la spunterà?
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