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Immortals

Regia di Tarsem Singh vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Immortals

di alan smithee
4 stelle

Tarsem gia’ con il discreto thriller “The cell” aveva dimostrato una capacita’ coreografica ed uno stile visivo decisamente spiccati e fuori dall’ordinario. Con il successivo "The Fall", concepito dopo un notevole intervallo rispetto all'esordio - in cui probabilmente il regista si e’ occupato d’altro - mi e’ parso che la bellezza esteriore finisse per annientare o quantomeno svilire le potenzialita’ di una sceneggiatura a tratti puerile e non certo in grado di competere con la prorompente esteriorita’ del complesso dell’opera.
Ora con Immortals il talentuoso regista si misura con il peplum/fantasy, forte delle piu’ sofisticate tecniche grafiche e computerizzate che hanno portato al successo fenomeni come “300” o il remake di “Scontri di Titani”.
Nella notte dei tempi una agguerrita contesa tra due opposte fazioni fa si’ che i vinti, proclamatisi “Dei”, imprigionino gli sconfitti, detti “Titani”, sotto le viscere di un monte mitologico. Per liberarli il malvagio Iperione (il solito cattivastro interpretato dal rinato Mickey Rourke) cerca spasmodicamente il leggendario Arco di Epiro, l’unica arma ritenuta idonea per lo scopo. A farne le spese, come al solito, un popolo dell'antica Grecia, in cui al ceto umile viene riservata una possibilita’ di fuga ritardata rispetto a chi conta veramente. In questo contesto un contadino coraggioso di nome Teseo, roso dall’ira per l’uccisione della madre davanti ai suoi occhi per opera di Iperione in persona, si fara’ promotore della lotta che condizionera’ i destini dell’intera’ umanita’.
Girato con grande maestria e uno sguardo aperto che fa leteralmente volare lo spettatore su scenari e spazi spalancati al limite della vertigine, con stupende quanto improbabili vedute e ricostruzioni di cittadine arroccate su coste a picco sul mare, sentieri tortuosi in bilico sull’abisso, profonde fenditure nel cuore caldo della terra, il film difetta gravemente di scrittura: come spesso accade in questi casi, il problema risiede in una sceneggiatura dai dialoghi spesso insostenibili e sentiti mille volte, in cui domina un sentimentalismo d’accatto che rischia di travolgere tutto lo sforzo tecnico esteriore del pur bravo regista.
Se Mickey Rourke da’ vita ad un cattivo cosi’ prevedibile da risultare piu’ divertente che maligno, bisogna dare atto al baldo protagonista Henry Cavill di sapersi giostrare in una gamma espressiva decisamente migliore dei vari Sam Worthington e affini, recentemente coinvolti nei progetti clone sopra citati. Il nostro prossimo Superman infatti ha una presenza scenica che va oltre l’indubbia prestanza fisica e fa ben sperare per l’imminente nuovo adattamento dell’eroe d’acciaio a cura del Jack Snyder di 300, tenendo anche conto che far dimenticare la fissita’ monoespressiva del precedente Brandon Routh non dovrebbe costituire un grosso problema anche per un attore di capacita’ solo medie.
Nota prettamente di “fisica" di colore: se 300 appariva come la “fiera della testuggine addominale”, questo film significa soprattutto l’esaltazione del pettorale maschile:  probabilmente al fine di sottolineare la superiorita’ e la perfezione della corporatura degli Dei, il guerriero in questo film appare pompatissimo ad altezza “mammella”, con il resto del fisico (bicipiti compresi) quasi scarno in rapporto a questa, in modo forse da accentuarne la statuarieta’ ed evitare eroi mitologici palestrati e ridicolamente tozzi simili alla Lou Ferrigno dell’Hercules nostrano e grezzo, figlio un po' sfigato dell'abile ma forse un po' incauto artigiano di casa nostra Luigi Cozzi nei gloriosi, incontenibili anni ’80.

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