Regia di Andrew Niccol vedi scheda film
Tempus fugit
Il tempo come moneta da guadagnare e, poi, da spendere in beni essenziali per la vita (dal cibo ai vestiti). Il tempo che fugge e non si lascia mai fermare, scandito dalle fredde cifre digitali “tatuate” sul braccio di ogni essere umano. La metafora iniziale, presa come base e spunto del film di Niccol, è geniale. Mai rappresentazione fu più azzeccata per ben esplicare l’arrabattarsi umano per la sopravvivenza (i poveracci), contrapposto al lento tèdio elitario delle gerarchie sociali (i ricchi) con, al contrario, molto tempo da perdere. Incipit fulminante che tiene alta la tensione, almeno nella parte iniziale, nel raccontarci le vicissitudini del protagonista, il venticinquenne (+3) Will Salas, interpretato dal cantante (!) Justin Timberlake. Il promettente avvio, purtroppo, viene poi leggermente banalizzato con l’andare dei minuti, per cui il film ci offre compendi, alternativamente, di prodezze alla James Bond (la sequenza nella villa con partita a poker), alla “Total Recall” di Verhoeven (tutte le fughe, seppur meno sanguigne) e, infine, una rivisitazione modernista di Bonnie & Clyde. Probabilmente si poteva fare di più, arricchendo l’intreccio narrativo di particolari che permettessero di comprendere la genesi della catastrofica situazione e sulla struttura di questi “Signori del Tempo”, non dissimili dagli attuali “Signori dello Spread” che tengono, apparentemente, in mano il nostro destino. La virata adrenalinica e action si lascia comunque vedere, senza infamia né lode, con qualche sbavatura di sceneggiatura (Amanda Seyfried che salta dalle finestre, corre sui tetti e sulla strada sempre con un tacco dodici ai piedi, come se nulla fosse), qualche acconciatura ridicola e un finale mediocremente sprecato.
Movimentata.
Sufficiente.
Veloce.
Acrobata.
Distratto.
Mamma.
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