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In Time

Regia di Andrew Niccol vedi scheda film

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La recensione su In Time

di ROTOTOM
6 stelle

Il tempo è denaro. Da questo assunto il nuovo lavoro di Andrew Niccol ambientato in un luogo indefinito, in un futuro indefinito nel quale l’unica moneta sulla quale si basa la società è il tempo. A causa del sovraffollamento l’età degli esseri umani è fissata a 25 anni, da quel momento ancora un anno di vita, tempo questo che può essere oggetto di scambio come moneta. Dal compimento del 25 anno in poi i poveri lottano per sopravvivere e i ricchi si sollazzano in una non vita fuori dalla zona temporale destinati a vivere per centinaia di anni cercando se possibile di non sprecare quel popo’ di tempo morendo per caso.

Il proletario Justine Timberlake e la ricca figlia del magnate del tempo Amanda Seyfried si alleano per ridare tempo alle masse, la ridistribuzione di un pil fatto di ore, giorni, anni. Bonnie e Clyde in fuga, rapinatori di banche e Robin Hood(s) che rubano ai ricchi per dare ai poveri.

Un altro futuro distopico dalle storture etiche e sociali tema caro  al creatore di cult movie come Gattaca e S1mone nonché scrittore di The truman show di Peter Wier. La metafora però è troppo semplice, dall’universo della società dominata dall’eugenetica di Gattaca sembra che sia stata grattato via un po’ di clima ma senza climax, uno spin off che recupera qualche istanza visiva ma che non raggiunge il picco della  scenografia hi-tech dal sapore retrò che  formava nell’esordio di Niccol un fascinoso e dislocante futuro distopico. Il Time si risolve in un action all’interno di una società dominata da un capitalismo darwiniano che lucra sul tempo altrui accumulando eoni a scapito di poveracci.  E’ quello che succede in qualsiasi parastato del sottosviluppo retto da dittature  ottuse. Basta sostituire la parola “tempo” a “denaro” e la realtà è servita in tavola, cotta per essere mangiata.

Molto cinematografico è il tatuaggio fluorescente posto sugli avambracci dei personaggi che segna il tempo in un count down impietoso e divide i millenari dai dipartenti al primo giro di aumento prezzi. Una spruzzata filosofia spicciola –meglio un giorno da leoni o cento da pecora? – espone l’etica alla mercé della relatività del tempo, concetto che sembra essere stata sradicata dalle menti dei fortunati immortali catatonici nella loro non vita. Il ghetto, punto centrale di una megalopoli – si intuisce – strutturata su anelli concentrici è gravido di vita,  uomini e donne impegnati a guadagnarsi tempo, tenuti sotto controllo da un demiurgo crudele che di tanto in tanto sfoltisce il parco buoi rendendo impossibile pagare la vita con il tempo rimanente.  Il pensiero corre ai grandi imperi finanziari, alle corporazioni bancarie e all’ottusa perseveranza di Equitalia nel rovinare la vita alle persone. Il film fallisce per questo, non solo perché Justin Timberlake non è ancora maturo per parti da eroe solitario e la Seyfried è troppo strabuzzata d’occhi per rendersi memorabile, purtroppo quello di Niccol non è un futuro distopico, ma una variazione sul tema della realtà demente.  

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